«Mio fratello? Come se fosse morto»
«Mio fratello è come se fosse morto». Parole dure come un macigno. Parole che hanno un senso profondo nel linguaggio siciliano. Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani, uno dei poliziotti morti nella strage di Capaci insieme ai magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, ha commentato così la notizia dell’arresto del fratello, Giuseppe Costa. L’uomo, che ha 53 anni e lavora come muratore, sarebbe tra gli affiliati al clan mafioso che è stato sgominato dall’operazione condotta dalla DIA che ha portato, tra l’altro, all’arresto di Gaetano Scotto, colui che viene considerato il capo della famiglia mafiosa di Vergine Maria.
Gli inquirenti seguivano da tempo Giuseppe Costa, che pare riscuotesse il pizzo per il clan, che era legato a Gaetano Scotto, anch’egli coinvolto nei processi per la strage di Via D’Amelio e nelle inchieste per i depistaggi. Ed in quest’ultimo processo è addirittura parte civile. L’arresto di Costa ha fatto clamore. Il suo nome è legato a quello della donna che, coraggiosamente, 28 anni fa, ha gridato forte contro la mafia nella Cattedrale di Palermo, durante il funerale delle cinque vittime della strage di Capaci. Giuseppe Costa è suo fratello.
Rosaria Costa oggi non vive più a Palermo. Al Corriere della Sera ha rilasciato dichiarazioni importanti. «La mafia non mi fermerà, continuerò il mio impegno», ha detto. Ed ha aggiunto «Se le accuse saranno provate, dovranno buttare le chiavi della cella. La legge è uguale per tutti. Mi dissocio da tutti, da mio fratello e da questi mafiosi che avvelenano il mondo. Mi telefonano tanti adesso, dicendo che mi sono vicini. Ma non sono vicina io a quest’uomo che il destino mi ha assegnato come una croce, adesso sono pronta a ripudiarlo».
Nel frasario e nel vissuto quotidiano a ripudiare erano spesso le famiglie mafiose ed il gesto clamoroso colpiva chi aveva deciso di collaborare con la giustizia, con gli “sbirri”, chi aveva deciso di passare il fosso e di pentirsi.
Rosaria, quel fosso, lo ha passato da un pezzo. Anzi, ha sempre vissuto al di là di quel fossato. Con suo marito, poliziotto integerrimo, padre e marito tenero che ha lasciato orfani i suoi figli per servire lo Stato. E dal quel “fossato”, che delimita chiaramente il fronte della legalità e dell’illegalità, ha usato toni duri. Non vedeva il fratello da due anni, i rapporti erano rari.
Gli ultimi arresti hanno lasciato il segno a Palermo. Hanno fatto risuonare, ancora una volta, le parole accorate di quella giovane donna nella Cattedrale gremita di folla per i funerali di Falcone, della moglie e degli agenti della scorta. «Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato…, chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro, ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare».
Poi il testo scritto cedette il passo all’impulso del cuore: «Ma loro non cambiano, loro non vogliono cambiare» esclamò in modo accorato, concludendo tra le lacrime, mentre il cugino sacerdote reggeva in microfono, la sosteneva e la incoraggiava. «Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti. Non c’è amore, non ce n’è amore…».
Quelle parole resteranno nella storia della Sicilia. Come segno di riscatto. E 28 anni dopo risuonano ancora, rafforzate dalla scelta di oggi. Senza compromessi.