Il mio amico Paolo Borsellino

L’inedito di un nostro collaboratore, giornalista e scrittore scomparso 5 anni fa, con il magistrato assassinato da Cosa nostra assieme a 5 agenti della sua scorta nella strage di via D'Amelio il 19 luglio 1992.

L’ultima volta che ci siamo visti, fu davanti a un piatto di couscous a base di pesce, in una trattoria sulla strada tra Marsala e Trapani.

Accadeva che, pur conservando ciascuno di noi il proprio ruolo, conservando anche giustamente una riservatezza per la propria vita personale ma anche una certa sana gelosia della propria professione, riuscivamo a comunicarci alcune impressioni ma anche stati d’animo che poco c’entravano con mafia e massoneria, ma sicuramente erano quei puntelli, quella solidarietà vicendevole che aiutava poi ciascuno di noi ad andare avanti.

Anzi, questa amicizia, nata davanti a un registratore per una mia intervista, quindi nata da una occasione che avrò ripetuto migliaia di volta nella mia vita con migliaia di persone, in questo caso divenne anche, ma forse soprattutto, stima, affetto, comprensione, capire il punto di vista dell’altro.

Era provare che ciascuno di noi è un solitario in questo deserto da attraversare dove tu cerchi di capire la malapianta delle mafie e lui cerca di lottarla direttamente, ma sempre soli, tremendamente soli fino a giungere quasi ad avere un chiodo fisso, a pensare continuamente a fatti, circostanze, collegamenti…

In una parola rischi di divenire un fissato. Quello che capimmo il primo giorno che ci incontrammo – davanti a quel registratore – fu che ciascuno per la sua parte e ognuno con la sua funzione, tutto quello che sentivamo nel cuore e che facevamo o che cercavamo di fare aveva in noi una matrice comune: l’amore per la nostra terra, il soffrire per vederla così ingiustamente marchiata… Ma anche l’amore per l’umanità, per l’uomo in quanto tale che ci spingeva a rifiutare ogni soluzione di comodo, ogni ignavia…

Questo capimmo subito di avere in comune: due persone normali che non hanno nessuna missione eroica da compiere, nessun nemico da combattere, nessuna idea fissa… Eravamo due cittadini, con diverse funzioni e capacità, ma due cittadini che, in quel momento, stavano facendo la scoperta più forte: ci stavamo scoprendo l’un l’altro, scoprivamo che il nostro cuore, le nostre intelligenze, le nostre conoscenze erano spinte dall’essere noi cittadini, persone cioè consapevoli e mature, motivate ma che adesso facevano un ulteriore passo in avanti. Si stavano collegando, stavano facendo nascere la prima e la più forte delle azioni sociali: mettere insieme due persone, l’una che potesse esser di sostegno all’altra.

D’altra parte che senso aveva qualunque impegno, il mio e il suo per non andare lontano, ad esempio, quando ciascuno si sentiva un granello, un piccolissimo tassello all’interno di un gioco e di collegamenti che erano sicuramente molto più grandi di noi.

A queste condizioni si può solo provare inizialmente esaltazione ed ebbrezza di sentirsi ingaggiati in una lotta dal respiro enorme, ma subito dopo può solo intervenire la concretezza della ragione che ti conduca al ragionamento che tutto, ma proprio tutto, è immutabile, senza cambiamento, un eterno presente, all’interno del quale la stessa dimensione della fede – altro punto in comune che quel pomeriggio trovammo – ora costretta, confinata, solo nel piano nobile della coscienza. Quel piano nobile che riusciva solo a partorire indignazione e sofferenza, ma quale possibilità di incidere avesse nella storia, nella mia storia, questo era tutto da verificare…

Io scrivevo di mafia e lui indagava sulla mafia. Due funzioni diverse ma ambedue insostituibili in una società civile matura. E ricordo, come fosse ieri tanto è vivo il momento che abbiamo vissuto, che spesso i nostri ragionamenti andavano spontaneamente oltre le righe di un discorso solo di mafia e poteri occulti. Spesso, invece, andavamo oltre, ad immaginare quella società per la quale ciascuno di noi accettava di vivere queste sofferenze.

Commovente fu quel pomeriggio che mi mise al corrente di avere avuto notizie di qualche killer, con decine di omicidi sulla coscienza, che adesso stava vivendo un reale, sofferto cammino di pentimento. Era felice come un bambino e riuscì a contagiare anche me. Aveva riscoperto una funzione del suo lavoro di magistrato che non aveva mai vissuto coscientemente: quello di poter essere per i tanti killer una porta di punta avanzata, una “punta di diamante” di quella società nuova alla quale credevamo con tutto il cuore, o che tramite lui potesse giungere ad avere contatto con questo mondo che talvolta non conosceva materialmente altro linguaggio che quello della P38, degli infami codici d’onore, dell’odio…

Era visibilmente contento di poter svolgere, da magistrato, anche questa funzione come dire, di “rappresentante” di una nuova società o di nuovi valori da proporre anche a questi uomini. Ma giustamente non voleva essere solo il portatore di valori nuovi, talvolta assolutamente sconosciuti a questa gente, ma voleva anche essere, giustamente, il testimone che questi valori erano condivisi con qualcuno, che fossero alla base di una anche piccola nuova società.

Ecco quindi stagliato il mio ruolo, il ruolo dell’amico, del cittadino: condividere con lui non solo sofferenze e intuizioni, ma anche voler concretamente sperimentare o condividere i valori per i quali eravamo pronti a dare la nostra vita. Solo così avrebbero avuto senso i suoi contatti con questo mondo ed avere la pretesa di far loro conoscere un altro stile di vita. Non per fascino di parole, ma perché era frutto di reale tentativo vissuto tra di noi.

È l’essere cittadino, nell’esercizio di questa dimensione, che dobbiamo sempre di più trovare da oggi la discriminante tra il bene e il male, tra la mafia, i poteri occulti e un modello di società nuova…

La dimensione di cittadino diventerà sempre più discriminante in economia, fra i poteri forti e una economia che voglia veramente avere al centro l’uomo, il cittadino, quindi, come struttura base di una nuova società che sempre di più dovrà fare i conti con tutte le mafie e i poteri occulti. Il cittadino struttura base di una nuova società perché unica struttura capace di far nascere una comunità civile…

 

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