Minuscoli appigli
Maurizio Zanolla: «Cercavo di fare in modo che il mio rapporto con la natura fosse diretto».
Ricorda un po’ Forrest Gump, il protagonista del meraviglioso film di Robert Zemeckis che si mise a correre per il puro piacere di farlo, attraversando gli Stati Uniti da una costa all’altra e collezionando decine di proseliti lungo il percorso. Maurizio Zanolla, meglio conosciuto come Manolo, a un certo punto della sua vita ha iniziato ad arrampicare, diventando ben presto un mito, o qualcosa del genere.
«Sapevo di essere un esempio per chi praticava la mia stessa disciplina – racconta –, ma non me ne curavo più di tanto». Il motivo di tale popolarità? Un’evoluzione tecnica che col passare degli anni lo ha portato a scalare le pareti naturali a mani nude, con appigli sempre più minuscoli e, soprattutto, senza protezioni. «Non volevo “sporcare” la montagna – spiega –, e cercavo di fare in modo che il mio rapporto con la natura fosse il più “diretto” possibile».
Nato a Feltre, cittadina veneta posta alle pendici delle Dolomiti, Manolo è un personaggio che non si reputa tale. Semplice, schivo, riflessivo: un vero “figlio” della montagna. Inizia ad arrampicare a diciassette anni «per evadere dalla quotidianità – ammette –. Il lavoro in fabbrica non mi soddisfaceva, e quelle montagne così vicine a casa mi attraevano talmente tanto che ho provato a scalarle».
Manolo racconta di sé e delle sue imprese con naturalezza, senza alcuna enfasi, dando l’impressione di essersene ormai distaccato, o addirittura di averle sempre vissute con una certa “freddezza”. Che fosse portato per questa particolare disciplina, ci ha messo poco ad accorgersene. Così, col passare del tempo e acquisendo via via un’esperienza sempre maggiore, Manolo ha “alzato l’asticella”, ha aumentato il grado di difficoltà di ogni sua scalata ed è diventato un vero mito. Tanto che una nota marca di orologi ha pensato bene di eleggerlo a testimonial di una campagna pubblicitaria di grande successo. Torso nudo, bermuda colorati e scarpine: così Manolo scalava ai “tempi d’oro”, non gli serviva nient’altro. Incosciente? Sprezzante del pericolo? Può darsi. «So di essere stato molto fortunato – ammette il diretto interessato –. Ero a conoscenza dei rischi che correvo, ma quella era la mia vita. Andavo alla ricerca dei miei limiti e posso dire di averli trovati».
Manolo ha vissuto la sua passione per l’arrampicata in maniera personale, filosofica, finanche romantica, non volendo mai partecipare a competizioni sportive. «Le gare non mi interessavano – spiega –. Per me si trattava soltanto di vivere la montagna in un modo diverso, tutto mio, che oltretutto mi ha permesso in qualche modo di mantenermi». Un ambiente naturale del quale Manolo non può fare a meno. «La montagna è un luogo “lento” – afferma –, molto diverso dalla città e da una frenesia che non mi appartiene».
A cinquantatré anni, ora Manolo risiede a Transacqua, un paesino della Valle di Primiero ai piedi delle Pale di San Martino. Sposato, vive in una casa costruita con le sue mani e fa il papà quasi a tempo pieno. L’arrampicata, ormai, fa parte del passato. «Ogni tanto mi alleno ancora – racconta –, ma non come prima. Gli acciacchi dell’età non mi permettono più chissà quali imprese. Ho chiesto tanto al mio fisico, che adesso mi sta presentando il conto».
Eppure, le sue evoluzioni e quel modo unico di arrampicare restano nella mente di tanti appassionati di alpinismo, italiani e non solo. Uno sportivo che non voleva vincere. Un personaggio cui non interessava la celebrità. Semplicemente, un giorno Manolo ha lasciato la fabbrica, ha raggiunto le sue montagne e ha trovato la sua realizzazione. Come Forrest Gump, meglio di Forrest Gump.