Minori una riforma che non parte
Il 5 novembre ultimo scorso, con una maggioranza “trasversale”, sia pure risicata, il disegno di legge di iniziativa governativa sulla giustizia minorile è stato bocciato. Esso si proponeva l’istituzione di sezioni giurisdizionali specializzate per la famiglia e per i minori (nonché – correlativamente – per la disciplina dei procedimenti in materia di separazione dei coniugi e di divorzio), in grado di ovviare all’attuale frammentazione delle competenze giudiziarie e di creare una task force specializzata nei problemi relativi all’infanzia e alla minore età. Intendimenti nobili e condivisibili, che per essere attuati ora, avrebbero comportato l’abolizione dei 29 tribunali dei minorenni, sparsi un po’ in tutto il territorio della Repubblica, e la sottrazione di competenze di altri giudici (quali quelle attualmente spettanti al giudice tutelare o al tribunale ordinario) per attribuirle, appunto, alle sezioni specializzate. Molte remore sono legate al fatto che la riforma avrebbe comportato la eliminazione dai collegi giudicanti (almeno nei processi civili) dei giudici onorari, e cioè di quei soggetti cosiddetti “laici” perché non appartenenti all’organigramma della magistratura “togata”: psicologi specializzati in materia di diritto di famiglia o minorile, pedagogisti, criminologi, neuropsichiatri infantili e per l’età evolutiva, ai quali sarebbero stati attribuiti compiti più limitati rispetto a quelli attuali. L’importanza di queste figure, alternative e ulteriori rispetto a quella portatrice del solo sapere giuridico (il magistrato togato), non può essere negata da alcuno. Inoltre, da più parti è stato avanzato il sospetto che la prospettata riforma possa segnare un regresso, nonostante la buona volontà degli estensori del disegno di legge, anche sul fronte della “specializzazione” e della “esclusività” dell’organo giudicante; la riforma infatti prevede che tale organo possa occuparsi – sia pure “in casi eccezionali” – di altro “affare” civile o penale e che abbia una competenza generalizzata in ogni materia comunque attinente alla famiglia o alla capacità delle persone, come i procedimenti relativi a separazione, divorzio, interdizione, handicap. E tutto questo gli viene attribuito senza specificare il riferimento al pianeta “minorile” che, di per sé, sarebbe già in grado di assorbire tutta la competenza e la disponibilità dell’organo giudiziario. Queste critiche sono fondate; ma non tolgono il merito agli intenti perseguiti dagli estensori del disegno di legge; anzi, al contrario, ne evidenziano l’importanza. Vanno però individuate esattamente le misure adatte: forse non è abolendo organismi attualmente carenti che si perviene alla soluzione dei problemi in campo, ma integrandoli. Insomma, invece di accorpare funzioni ed istituzioni riducendo e basta, non sarebbe da sottovalutare la possibilità di consentire a chi già opera e per tanto tempo ha operato a contatto con i minori, di ottenere più mezzi e strutture adeguate, di giovarsi ancora di più di quanto è accaduto finora dell’apporto di personale qualificato (non solo di matrice giudiziaria) avvezzo a trattare con essi, di rendere il luogo e le formalità di celebrazione del processo minorile ancora più rispettosi della particolarità dei soggetti ai quali quel processo si rivolge, di puntare ad una reale specializzazione dell’organo giudicante senza attribuirgli (neppure eccezionalmente) funzioni e ruoli ulteriori, talvolta incompatibili con quella specializzazione. Si dirà che tutto ciò ha un costo sociale e che la prospettata riforma punta proprio a ridurre l’entità di quello attualmente sostenuto. Ma è un argomento, questo, che nella materia di cui si sta trattando non penso possa trovare ingresso. Le esigenze di cassa possono aspettare, le istanze di tutela dei minori, quelle senz’altro no.