Minori tra Hiv e social

Per legge, dopo i 14 anni gli adolescenti possono scegliere, senza il consenso dei genitori

I ragazzi italiani con un profilo social in Internet sono più di 1,3 milioni (rapporto We are social 2017). Fino a qualche tempo fa, la legge non stabiliva con chiarezza la soglia di età necessaria per iscriversi ai servizi della Rete senza l’autorizzazione dei genitori. Scarsi erano anche i controlli. Ora però, il Regolamento europeo sulla protezione dei dati (Gdpr 2016/279), entrato in vigore in Italia a partire dal 25 maggio 2018, colma la lacuna. La soglia minima per l’Italia è 14 anni. È questa l’età che rende il minore autonomo dalla famiglia.

Anche in campo sanitario ci sono novità in questo senso. Il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha ricevuto il via libera dal Garante per l’infanzia affinché i minori (da 14 anni in su) possano sottoporsi al test Hiv, anonimo e gratuito, senza il consenso dei genitori. L’obiettivo è «rendere più semplice l’accesso alla diagnosi per i giovanissimi», visti i frequenti contagi in età precoce, e considerato che molti adolescenti provano imbarazzo o non vogliono raccontare ai genitori la propria vita sessuale.

Dunque i giovani quattordicenni sono ormai soli davanti alle piccole/grandi scelte della vita, senza l’ombrello protettivo dei genitori. Una solitudine, però, che non tutti condividono. Secondo Sergio Barbaro, avvocato, docente di Diritto comparato allo IuS di Loppiano, esperto di diritto e nuove tecnologie, il legislatore ha sbagliato nel mettere sullo stesso piano decisioni che hanno un peso molto diverso nella vita di un ragazzo.

«A livello europeo c’è la tendenza a considerare il ragazzo di 13-15 anni già capace di fare scelte consapevoli e autonome – rileva Barbaro –, sia nell’ambito delle nuove tecnologie, che del rapporto col proprio corpo. Ma un adolescente di 14 anni potrebbe essere maturo per scelte a livello tecnologico o contrattuale (a 15 anni in Italia si può stipulare un contratto di lavoro), e non per altre, come in materia di autodeterminazione sessuale. A questa età i ragazzi non hanno consapevolezza del rapporto col proprio corpo, sono solo all’inizio della maturazione sessuale, per cui non si possono privare i genitori della possibilità di “esserci” in un momento così delicato della vita dei loro figli. In questo modo si taglia fuori completamente la famiglia e il ruolo genitoriale.

Tutto si basa sulla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (1989), la quale afferma che il minore (da 12 anni in su) deve essere ascoltato, e il suo parere è vincolante per le questioni che lo interessano direttamente. È un principio che nasce per tutelare il minore, ma non si può ribaltare affermando che a una certa età (convenzionale) il minore sia capace di scegliere senza l’accompagnamento degli adulti. Si presume, invece, che il minore abbia raggiunto una consapevolezza e una formazione adeguata, cosa spesso non vera soprattutto per l’aspetto sessuale. Per cui ritengo positiva la soglia di età stabilita dal regolamento europeo per l’iscrizione autonoma ai servizi della Rete, e negativa l’iniziativa del Ministero della Salute sull’Hiv».

Sullo stesso argomento il giudizio di Ezio Aceti, psicologo, con considerazioni complementari. «In generale ritengo che la decisione del Ministero della Salute sia sbagliata, perché si basa sul principio che la famiglia non debba sapere quello che fa il figlio minorenne. Questo però significa impostare i rapporti tra genitori e figli sulla paura e sul nascondimento, creando isole di solitudine. È invece giusto prendere insieme la decisione e, se il test è positivo per cui il ragazzo è affetto da Aids, favorire l’accoglienza e il sostegno da parte della famiglia. Anche se il ragazzo ha fatto degli sbagli. Anche se la famiglia è sfasciata o il ragazzo ha paura di non essere accettato per le sue scelte sessuali. La soluzione non è mai nascondere le cose. Bisogna invece migliorare il livello di dialogo e solidarietà all’interno della famiglia.

Detto questo, vorrei anche sottolineare che l’autonomia dei ragazzi è comunque una cosa positiva, perché ce n’è stata troppa poca in passato, e ancora adesso, soprattutto dalle mamme. Tutto decide la mamma, tutto decide la maestra o l’insegnante donna. Dai 7 anni in poi, invece, il giovane dovrebbe imparare a essere autonomo e prendersi le sue responsabilità. Quindi, unità della famiglia e autonomia dei figli sono due principi da salvaguardare entrambi. Nella vita la cosa più importante sono i legami, ma i legami stanno in piedi se c’è la capacità di essere autonomi e prendersi le proprie responsabilità».

 

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