Mimmo Lucano e la legge, questione aperta
Mimmo Lucano è stato al centro della Marcia della pace Perugia Assisi di domenica 10 ottobre 2021 che gli organizzatori hanno voluto improntare al motto “I care” (“Mi importa, mi sta a cuore”) legato alla lezione morale di don Lorenzo Milani. Un insegnamento che in molti vedono attuato, oggi, nell’attività esercitata dall’ex sindaco di Riace nella giusta accoglienza dei migranti.
Lo stesso ex sindaco, tuttavia, è al centro di una vicenda giudiziaria che lo ha portato il 30 settembre 2021 ad essere condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi di reclusione, oltre a pesanti pene pecuniarie, con una sentenza emessa dal tribunale di Locri.
Ma quali sono i reati contestati all’imputato? In attesa delle motivazioni della sentenza, che saranno depositate entro 90 giorni dalla pronuncia, si deve partire dai reati contestati nel dispositivo della decisione: «Associazione per delinquere finalizzata a “commettere un numero indeterminato di delitti”, falso in atto pubblico e in certificato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, abuso d’ufficio e peculato».
Abbiamo chiesto un parere all’avvocato Pietro Adami, specializzato in diritto amministrativo per cercare di capire la natura di reati strettamente legati, appunto, all’attività amministrativa.
Di cosa viene accusato Mimmo Lucano?
Viene accusato, di base, della violazione di piccole norme amministrative. La condanna arriva perché queste violazioni sono viste come il disegno programmato e voluto. Come se il comune di Riace avesse deliberatamente voluto proprio violare quelle norme amministrative sull’accoglienza. Non mi pare sia così. Il disegno programmato era quello di ampliare e far funzionare un complesso sistema di accoglienza. Il sistema funzionava di base secondo le regole.
In molti parlano di una gestione perlomeno approssimativa da parte del sindaco…
Non mi sento di poter dire che la giunta di Riace fosse pasticciona. È la complessità delle norme e dei sistemi, il problema. Ed il fatto che Riace non ha adottato una tattica conservativa, ma ha voluto davvero far funzionare il sistema dell’accoglienza, nel contempo rilanciando l’economia locale. Mimmo Lucano è stato dipinto come una sorta di bandito solitario, anche se a fin di bene. Non mi pare che sia vero. Lucano era solo parte di una comunità politica che aveva voglia di costruire un sistema complesso e funzionante, in un Paese come l’Italia che invece incoraggia l’inerzia amministrativa.
Lei afferma che avrebbe violato solo norme amministrative, ma allora perché è accusato di avere violato norme penali?
Le violazioni delle norme amministrative, non sono punite di per sé dalle leggi penali. Se, ad esempio, faccio entrare un cliente nell’ufficio postale, cinque minuti dopo l’ora di chiusura, non vado in galera. Se promuovo lo studente che non è andato bene all’esame, neanche. Se il giudice deposita la sentenza o le motivazioni, oltre il termine di legge, non viene arrestato.
Però queste violazioni possono trasformarsi in reati in base al fine con cui vengono compiute. Se per fare entrare il cliente ritardatario, io prendo la mancetta, allora “scatta il penale”. Di base quindi la norma penale scatta quando io, come compenso per la violazione amministrativa, percepisco un vantaggio di tipo economico.
Che vantaggio avrebbe lucrato Lucano?
Tutti riconoscono che Lucano non percepiva nulla, e che neanche chiedeva favori. Ma, secondo l’accusa, il vantaggio sarebbe quello del ritorno, in termini politici, della sua azione. Insomma, lui avrebbe forzato le norme sull’accoglienza per far funzionare meglio il meccanismo che aveva contribuito a ideare, e così ottenere consenso elettorale. Ma è una tesi che non convince.
Perché non è convincente a suo parere?
L’azione di un amministratore locale non è distorta, se finalizzata anche al consenso, perché è così che funziona il sistema democratico. Dunque una giunta comunale che agisce, ritenendo di interpretare ciò che vuole la maggioranza degli amministrati, svolge il suo ruolo nel modo corretto. Conseguentemente se il fine è legittimo, la violazione della norma amministrativa, non può più “convertirsi” in reato. La violazione dovrebbe rimanere amministrativa, e quindi non sanzionata come reato. Peraltro, è tutto da dimostrare che il fine di Lucano fosse quello del consenso, e non, ad esempio, un miglior risultato amministrativo, o far funzionare meglio i servizi resi. I pochissimi errori amministrativi o violazioni formali che , ed è ancora da dimostrare, avrebbe commesso non sono quindi parte di nessun disegno, ma inevitabile conseguenza del fatto che il Comune di Riace si è addentrato in terreni amministrativi poco esplorati e senza il supporto tecnico che avrebbe dovuto essergli offerto da altri enti pubblici.
Come si arriva a condanne così pesanti?
Abbiamo detto che l’amministratore pubblico che viola una norma amministrativa, di base, non è punito, per quella violazione. Ma se lo ha fatto per beneficio personale, allora non scatta un solo reato, ma un’intera batteria di reati: abuso di ufficio, malversazione, concussione/corruzione, truffa, peculato, falsi vari, traffico di influenze, e spesso associazione a delinquere. Ed è tutto legato alla stessa minima violazione della norma amministrativa.
Si può spiegare con un esempio?
Certo. Facciamo un caso di fantasia ma molto concreto. La norma dice che al massimo vanno ospitati 2 rifugiati per abitazione. Ne alloggiano 3 o 4. Se si ritiene che ci sia un fine illecito, non scatta un unico reato. In primo luogo, si dice, hai percepito indebitamente i contributi, e dunque devi restituire tutto. Poi sei accusato di abuso di ufficio, di truffa, e se sei in più di due persone c’è anche il reato di associazione a delinquere, che è sanzionato a parte, e che da solo può portare alla condanna di tre anni di carcere. È chiaro che, in questo contesto, chiunque può prendere anche molto di più di 13 anni, può arrivare a 15 o a 20. Non servono grandi forzature, basta una lettura orientata delle violazioni amministrative. Violazioni che, è bene ricordarlo, sono inevitabili nell’azione di qualunque amministrazione.
Sarebbe opportuno ipotizzare una riforma normativa per evitare tali conseguenze?
Credo che sia possibile, ma con grande attenzione e riflessione. Da un lato occorre evitare il paradosso che tutti hanno notato: Lucano che ha commesso minime violazioni amministrative, è condannato più duramente di chi ha sparato per strada. Dall’altro occorre evitare il segnale di una resa dello Stato rispetto alle vere malversazioni, ossia di chi attraverso le violazioni delle norme amministrative si arricchisce. A me pare che tornare al criterio dell’arricchimento economico non sarebbe sbagliato. Il beneficio politico, l’idea di sé stessi, il beneficio morale, l’adesione alle proprie convinzioni religiose, tutto questo non può essere ritenuto un fine illecito, anche perché si lascia troppo alla discrezionalità del singolo magistrato. I reati devono sempre essere ancorati a condotte ben definite dalla norma. Tutti devono sapere cosa è vietato, cosa è lecito ed a quali conseguenze porta. Poi va risolta la questione della stratificazione di questi reati: se compio un omicidio, compio un reato solo, se compio una violazione amministrativa, la stessa violazione è punita da sei reati, che si applicano tutti insieme. Così non va bene. Si applicherà il più grave, come avviene nell’omicidio, che non si somma con le lesioni, implicite nell’avere ucciso qualcuno.
Il dispositivo della sentenza si può consultare sul sito della rivista di Giurisprudenza penale