Mimmo Locasciulli: buonanotte ai sognatori

Mimmo Locasciulli: buonanotte ai suonatori

 

È abruzzese, ma da decenni vive a Roma dove continua a fare il medico chirurgo. Delle iniziative pro-terremotati del music-business non vuol parlare, perché Mimmo Locasciulli, classe 1949, uno dei nomi storici della scuola cantautorale capitolina, non ha mai amato gli opportunismi e i sensazionalismi, neppure quelli in buona fede. Fa canzoni da una vita, da ben prima che l’amico Francesco De Gregori sia riuscito ad imporlo all’attenzione dei discografici e poi del grande pubblico. Dalla metà degli anni Settanta ad oggi la sua è stata una carriera sobria e rigorosa, consumata in quel limbo che da sempre separa le inquietudini della precarietà dai lustrini della gloria. Un cantautore di culto, come si diceva una volta…

«Nella mia vita ho scritto migliaia di canzoni, la maggioranza non hanno mai visto la luce, alcune sono invecchiate meglio di altre, qualcuna m’è più cara di altre… Non ho nostalgie o rimpianti, se è quello che implicitamente mi chiedi. Nel 1980 dissi a De Gregori che a me bastava vendere cinquemila copie per album continuando a fare seriamente il mio lavoro – di chirurgo e di cantautore – perché non mi interessava diventare un artista “di successo”. Lui mi disse esplicitamente che dubitava che fossi sincero. Ebbene, a 30 anni di distanza, posso se non altro dimostrare, a lui e a me stesso, che invece lo ero: a me piace essere un artista di nicchia, e sono ben felice di continuare ad esistere come musicista marginale, ma preservando ciò che sono nell’intimo».

 

“Idra”, il tuo nuovo album, fotografa, come tutti i tuoi lavori del resto, il tuo presente. Quasi fosse un album-concept…

«Credo che tu abbia ragione. E aggiungo che in questo album forse mi sono svelato un po’ di più, raccontandomi in modo molto meno criptato del solito. Ho scavato più in profondità dentro me stesso».

 

E nel fondo del tuo fondo cosa hai trovato? Più paura o più speranza?

«Sono nato in un paesino dove la malizia e la cattiveria erano veramente concetti lontanissimi. E sono cresciuto con la convinzione che l’uomo fosse buono di natura. Ma questi tempi mi stanno facendo ricredere. Basti pensare all’indifferenza, all’egoismo, o all’astio con cui oggi ci si confronta con l’altro, col diverso, con l’extracomunitario. In questo senso sono un po’ scoraggiato. Nella storia ci sono sempre stati tempi più oscuri di altri, e questo mi pare uno di quelli… Non a caso in questo disco ho cantato soprattutto l’amore, o meglio, la necessità dell’amore: perché credo che sia davvero il collante universale, il valore che più d’ogni altro può risolvere i problemi dell’uomo contemporaneo».

 

Questo tuo diciassettesimo album è stato registrato a New York, con artisti del calibro di Greg Cohen (che ha prodotto l’album, ndr), Marc Ribot e Stafano di Battista. Un lavoro raffinato, che ha dentro tutta l’inquieta intimità della notte, sorretto da testi profondi e tematiche impegnative. Immagino che abbia radici molteplici e antiche…

«Sì. È un album che richiede tempo per essere capito, o almeno lo spero: non mi è mai interessato molto scrivere “canzonette”… Per quanto decisamente autobiografiche, queste canzoni hanno molteplici fonti d’ispirazione, da Platone a Gesù Cristo, da Blaise Pascal a Leonard Cohen. Ma Idra per me è soprattutto quell’immensa massa d’acqua che separa le coste della disperazione da quelle della speranza».

 

Sempre orgogliosamente estraneo ai cliché, ai ritmi, alle piacionerie del pop, per molti critici sei il Tom Waits italiano: l’etichetta ti onora o ti disturba?

«Mah… (sorride, ndr). Valli a capire i giornalisti e le loro etichette! Qualcuno ha perfino scritto che le mie canzoni rimandano a Capossela, pensa te!».

 

Come valuti la scena musicale odierna? Immagino che tu non sia un fan di “X Factor” e similia…

«Infatti. Non amo gli omogenizzati, e non credo che alla musica serva andare in tivù: quella serve a creare idoli, non artisti. Credo siano anni bui, di totale deriva. Certo, ci sono artisti che stimo, anche di generazioni successive alla mia: Jovanotti, Carmen Consoli, Frankie Hi-Nrgy… Ma, se devo essere sincero, non vedo ancora eredi all’altezza dei grandi maestri della nostra canzone d’autore».
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