Miloš Crnjanski, “Nessuno va dove vuole”
Recente è la mia scoperta di uno dei grandi autori slavi del XX secolo: Miloš Crnjanski, romanziere, poeta, drammaturgo, saggista e scrittore di viaggio, esponente tra i più significativi del Modernismo serbo. Nato nel 1893 a Csongrád (all’epoca parte dell’impero austro-ungarico, oggi Ungheria), uomo schivo e poco incline alle interviste, dopo gli inizi come giornalista socio-politico è diventato famoso anche all’estero con Migrazioni del 1929 e del 1962, epopea in due volumi di serbi migranti dalla Vojvodina verso una Russia sognata come terra promessa. L’opera, ambientata tra Sette e Ottocento sotto il regno di Maria Teresa d’Austria, è stata tradotta in Italia da Adelphi. Pubblicato invece da Mimesis nella traduzione italiana di Alessandra Andolfo è Romanzo di Londra, secondo e ultimo capolavoro di Crnjanski apparso sei anni prima della morte: l’opera che me lo ha rivelato.
Prima però di parlarne, seguiamo l’autore nelle peregrinazioni attraverso l’Europa che hanno segnato gran parte della sua esistenza, facendo di lui il cantore dell’erranza, un Ulisse dei nostri tempi. Bambino, con la famiglia lascia Csongrád per stabilirsi a Temesvár (Timişoara, in Romania). Studi universitari a Vienna, dove – dopo i fatti di Sarajevo del 1914 – il giovane Miloš viene perseguito per aver partecipato alle prime manifestazioni degli studenti serbi contro il governo asburgico. Mandato a combattere in prima linea al posto del carcere, ne riesce ferito: dalla sconvolgente esperienza al fronte nascerà nel 1921 Il diario di Čarnojević, resoconto disincantato di un reduce. Prima però, negli anni 1919-1920, ha pubblicato la raccolta poetica Liriche di Itaca e si è laureato a Belgrado.
Ancora nel 1921 il neoscrittore sposa Vida Ruzić, che gli ispirerà il personaggio di Nadja nel Romanzo di Londra, e con lei si trasferisce a Parigi, dove inizia gli studi alla Sorbona. Attivo come traduttore dal francese e dall’inglese, pubblicista per le maggiori testate serbe e corrispondente dalla Spagna presso lo Stato maggiore di Franco durante la guerra civile spagnola, tra il 1927 e il 1928 Crnjanski pubblica varie raccolte e antologie poetiche. Nel 1928 intraprende la carriera diplomatica, che lo porterà a Berlino, a Roma e a Lisbona. Addetto stampa presso l’ambasciata serba a Berlino, comincia a lavorare all’opera Iris Berlina del 1928. L’anno successivo esce la prima parte di Migrazioni. Nel 1934 fonda la rivista Ideje e nel 1939 si sposta a Roma, dove scrive Dalla terra degli Iperborei, mix di elementi autobiografici, memorie e narrativa.
Nel 1941, in seguito alla chiusura dell’ambasciata jugoslava a Roma e all’occupazione nazifascista di Belgrado, troviamo lo scrittore a Lisbona e poi a Londra come parte del governo in esilio. Anche dopo il conflitto mondiale, politicamente in contrasto con la Jugoslavia di Tito, continua a risiedere nella capitale del Regno Unito, costretto da una situazione economica sempre più critica a svolgere lavori piuttosto umili. Nel 1956, in momento di grande prostrazione materiale e spirituale, compone il Lamento per Belgrado (1962). Solo nel 1965 rientrerà in patria, rimanendovi fino alla morte per suicidio nel 1977. Usciranno postumi Il Libro su Michelangelo del 1981 e L’Ambasciata del 1985.
Con Romanzo di Londra Miloš Crnjanski ci ha lasciato quello che è stato definito, a buon diritto, il più grande romanzo sull’esilio. Protagonista di quest’opera in cui l’autore rispecchia la propria esperienza di apolide è il principe Nikolaj Rodionovič Repnin, fuggito dalla Russia in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre e alla guerra civile e giunto, dopo anni di vagabondaggi attraverso l’Europa, in una Londra che cerca di rialzarsi dalle devastazioni belliche. Qui vive di stenti assieme alla giovane sposa, aspirando ad una pace improbabile per chi, come lui, è figlio di un secolo con le stigmate lasciate da due conflitti mondiali. Entrambi i coniugi lottano l’uno per salvare l’altro dal totale naufragio, lui perennemente in cerca di lavoro (e sarà commesso, fattorino, stalliere…), lei confezionando bambole. Ma diverso è il modo in cui ciascuno intende questa salvezza. Costantemente assorbito dal ricordo della patria perduta, Repnin non serba illusioni per sé, medita il suicidio e vorrebbe convincere la moglie a raggiungere in America una zia che l’accoglierebbe. Quanto a Nadja, tenacemente attaccata alla vita, le inventa tutte per distoglierlo dai suoi pensieri di morte e ridargli fiducia. Purtroppo neppure la vacanza impostagli in Cornovaglia avrà l’esito sperato: inarrestabile è il declino umano e spirituale di questo novello Ulisse, che fino all’ultimo dovrà destreggiarsi tra le indesiderate interferenze dei cuori femminili sensibili al suo fascino russo o di quanti s’interessano a lui per “salvarlo”.
Nei suoi resoconti giornalieri Repnin ci dà una rappresentazione eccezionalmente nitida della metropoli londinese dell’epoca, indagata impietosamente – ma non senza ironia – nelle debolezze e nei tic dei suoi abitanti, indaffarati come formiche e illusi di trovare un senso e una direzione al loro andare. «Nessuno va dove vuole» è infatti la costatazione che Crnjaski fa fare al suo “eroe”. Che dopo la partenza della moglie per gli Usa, scivola di trasloco in trasloco verso l’irreparabile: facendo colloqui immaginari con un vecchio compagno d’armi morto suicida e sfogliando, al termine delle sue giornate solitarie, un libro illustrato su San Pietroburgo («l’ultima gioia della sua vita»).
Romanzo amaro ma necessario, che vedi caso – scrive Božidar Stanišić nella Postfazione – ci arriva «proprio in un momento della Storia italiana ed europea dominata da un’idea politica sui migranti che li riduce a una cifra, al genere neutro e, soprattutto, a un’eccedenza nell’attuale dramma della globalizzazione, delle sue conseguenze e degli effetti collaterali».