Million dollar baby
Un vecchio allenatore, maestro di pugilato e, per i suoi allievi, forse di vita; una ragazza testarda, troppo vecchia per il ring, convinta – come succede – di farcela, sino al rischio della vita; un ex pugile, cieco da un occhio, saggio e distaccato. Il ring e i suoi contorni più o meno affidabili e luminosi. Storie, ambienti, personaggi ad imbastire una metafora dura e profonda sulla vita umana. Con quello che ha di lotta, di imprevedibilità, di conquiste, di sacrificio; di scelte morali decisive tra vivere e morire, bene o male, ricerca e approdo. E, se si vuole, rinuncia e richiesta. Lo stile registico di Eastwood, 74 anni, è sempre asciutto, la sceneggiatura agile, il ritmo veloce e i dialoghi di una terribile (per il contenuto, a doppio livello di lettura) essenzialità. La bellezza sta nell’esser privo, il film, di qualsiasi pesantezza moralistica: Eastwood racconta una storia, com’è dei grandi registi, ma ogni fotogramma, ogni dettaglio mantiene un rigore morale straordinario. Morgan Freeman (Oscar 2005 come migliore attore non protagonista), contraltare dell’allenatore, è forse il personaggio più centrato: è la sua coscienza, o se si vuole, Dio stesso. È lui a schiudergli il cuore indurito, a sopportarne le asprezze, a condividerne o meno le scelte. Sino a quella estrema – l’eutanasia della ragazza in malattia irrimediabile, filmata lucidamente (col rischio di strumentalizzazioni) – in cui l’allenatore, dolorosamente cosciente di andare contro la vita e contro quel Dio che cerca conflittualmente, acconsente al desiderio della ragazza. Lo sa che andrà incontro all’inquietudine e alla infelicità. Si sentirà svuotato. Per questo, Eastwood-l’allenatore sparisce letteralmente, in un altrove dove l’ansia e la ricerca continuano. Non è certo, questo, si badi bene, un film sulla boxe né sull’eutanasia, per quanto la scelta registica di descriverla possa esser discutibile. Ma, come si diceva, sulla vita e forse ancor più sull’amore. Eastwood infatti è un padre rifiutato da una figlia, personaggio presente- assente che gli rispedisce puntualmente le lettere che egli le invia; è Maggie, la ragazza pugile (un’intensa Hilary Swame, Oscar 2005 miglior attrice), a prenderne il posto, in un rapporto che da ruvido diventa tenerissimo, fino appunto al momento finale. Ma anche Freeman – la sua coscienza -, entra in questo gioco di sentimenti, con una dolcezza severa, un’accoglienza illimitata che scava pennellate di forte spessore nel racconto. Il quale si conclude senza una soluzione definitiva, perché la vita in qualche modo continua e l’uomo è libero (ma non solo) davanti alle sue scelte. Freeman resta in palestra ad accogliere altre giovani vite, senza dimenticare il vecchio Clint. Regia Clint Eastwood; con Eastwood, Morgan Freeman, Hilary Swank.