Militari e democrazia
Dopo la stagione delle dittature militari, una delle questioni che in America Latina al ritorno alla democrazia non è mai stata risolta in modo accettabile è il rapporto dei militari con le istituzioni democratiche. In genere, per i militari questo rapporto resta avvolto da una nebbia fatta di confusioni sull’identità stessa della democrazia ed i diritti umani. Anzi, spesso sogliono attribuire a tali concezioni una matrice di sinistra. Il tutto unito a certa apologia del ruolo svolto durante le dittature come freno all’avanzata del “comunismo”.
Lo scandalo scoppiato in Uruguay questa settimana è un indizio di tale rapporto nebuloso. Contro tre militari condannati in Uruguay per delitti di lesa umanità, responsabili di aver fatto scomparire due militanti di sinistra, è stato istruito un tribunale d’onore per stabilire se i delitti commessi meritassero la radiazione dall’arma con la perdita dello status di militare in pensione, dunque non potendo più utilizzare l’uniforme.
I tre generali del tribunale – ed altri tre che hanno giudicato in fase d’appello –, non hanno avuto niente da eccepire sul fatto che due dei condannati avessero ammesso di aver commesso i gravi delitti loro imputati ed hanno invece considerato disonorevole che gli stessi avessero taciuto sul fatto che un collega, innocente, venisse accusato al loro posto, scontando alcuni anni di carcere.
Il migliaio di pagine dell’incartamento è finito in mano al presidente dell’Uruguay, Tabaré Vázquez, che lo ha controfirmato, omologando le sentenze dei tribunali d’onore. Il problema è che un giornale a carattere nazionale ha invece letto il documento pubblicando quanto “sorvolato” dai giudici d’onore. Irritato, Vázquez ha spedito a casa il ministro della Difesa, il suo vice – entrambi non lo avevano messo al corrente del dossier –e i sei generali dei due tribunali d’onore. La sanzione comprende anche la destituzione, appena un mese fa, del capo di stato maggiore dell’esercito, che aveva criticato i magistrati che avevano condannato i due repressori (almeno uno di loro è un conosciuto torturatore).
La misura adottata ha suscitato un dibattito politico: perché il presidente o chi per lui non ha letto l’incartamento? Ma la polemica può essere fuorviante se si perde di vista il vero problema: sette generali al corrente che due membri dell’esercito avevano confessato delitti di lesa umanità, non avevano considerato che ciò causasse disonore alle forze armate.
La questione è grave. Cosa bisogna fare per infangare l’onore delle forze armate? Una delle persone assassinate aveva appena partorito in cattività, sua figlia venne segretamente data in adozione e la famiglia non ne fu mai informata… Quand’anche membri di una organizzazione in armi contro lo Stato, gli assassinati non erano in condizione di nuocere. Assassinare extra-giudizialmente non è forse un gesto indegno di una istituzione che rappresenta lo Stato? In Cile esiste una torturatrice conosciuta per usare cani per violentare le donne sequestrate; in Guatemala si preferiva bruciare vivi i prigionieri; in Brasile i torturatori sfinivano i desaparecidos con metodi che ne slogavano in modo dolorosissimo le articolazioni. Migliaia di torturati in tutta la regione erano anche innocenti cittadini colpevoli di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato… o nell’agenda sbagliata. Quanto onore c’è in tutto questo?
È il dibattito che non si è mai riusciti a portare fino in fondo, in qualche modo accettando che la formazione dei militari, dal ritorno allo stato di diritto in avanti, sorvolasse la questione della comprensione della democrazia e dei diritti fondamentali, pur di assicurarsi che non fossero in condizione di riprendersi il potere. Oggi questo nodo torna al pettine. In Brasile, lo fa lo stesso presidente attuale, si afferma ad esempio che nel 1964 non ci fu colpo di Stato. Il passo per negare anche i crimini di lesa umanità è breve.