Milano. Il passaggio invisibile dei profughi eritrei
Lo raccontano le cronache cittadine, lo denunciano i continui appelli del Comune, se ne accorgono i passanti che escono all’ora dell’aperitivo: da qualche settimana Milano è diventata la tappa di viaggio dei molti migranti in arrivo da tutto il Mediterraneo. I giornali raccontano, quasi quotidianamente, l’emergenza di quanti, provenienti dalla Siria, hanno trascorso le loro notti nella stazione centrale; ma non sono i soli. Dall’inizio di maggio, anche 900 profughi eritrei sono arrivati in città. Molti si sono ritrovati nella zona di Porta Venezia, quartiere che ospita una storica presenza di comunità del Corno d’Africa; ed è intorno alla chiesa del Lazzaretto che ogni sera si ritrovano tra i 50 e i 200. La vicenda degli eritrei finora è rimasta in sordina, eppure tocca molte vite e solleva altrettanti interrogativi. Cosa raccontare di questi profughi rimasti, anche per loro stessa volontà, nell’ombra?
Si potrebbero raccontare le loro storie. Sono quasi provenienti dall'Eritrea, in fuga da una dittatura assurda che vieta senza ragione di attraversare i confini nazionali. Con qualche timida domanda, aiutati anche dai ragazzi di seconda generazione dall'accento milanese, si aprono spiragli sulle storie più diverse che hanno fatto della stazione la loro casa. Dawit, mentre continua a ringraziare per il cibo ricevuto, racconta di come si sia salvato dal naufragio di Lampedusa dello scorso 3 ottobre, dopo aver lasciato a Cheren un negozio, una ragazza e tanti fratelli più piccoli. Hamid invece, forte dei suoi vent'anni, ha viaggiato a piedi, per mesi, tra Asia ed Europa, sfuggendo ai controlli di frontiera e al freddo dell'inverno balcanico. Ora ha negli occhi l'Inghilterra, e la possibilità di studiare – quasi non gli importa cosa – perchè chi studia ha futuro. Zeudi, ancora segnata dalla traversata del deserto libico, resta in disparte, spaventata che la polizia possa identificarla ed impedirle di raggiungere Oslo e la sorella Selam. Per tutti loro, Milano è solo una tappa di un viaggio più lungo verso il Nord Europa, verso un’accoglienza forse più dignitosa della nostra e verso parenti e amici che lì hanno ritrovato una vera vita.
La storia parallela a queste tragedie è quella di una mobilitazione sotterranea della città per la presenza, sempre rimasta in secondo piano, dei volontari e di chi rende l'accoglienza e l'arrivo nella metropoli meno traumatico. Sono state soprattutto le associazioni, come l'Associazione Arcobaleno, a prendersi carico dei primi aiuti ai profughi siriani ed eritrei. Ogni sera, piccoli gruppi di volontari hanno accompagnato un numero ridotto di stranieri nei dormitori comunali disponibili, mentre cibo e vestiario reperiti grazie a raccolte straordinarie venivano distribuiti tra quanti avrebbero trascorso la notte all’aperto. In tutto questo, il Comune ha messo a disposizione alcune strutture ma ha denunciato i mancati aiuti da parte di altre istituzioni.
Tanti sono i piccoli episodi di questa mobilitazione cittadina silenziosa e contagiosa, in grado di coinvolgere tante persone, ordinariamente lontane dall’impegno nel sociale. Ogni volontario racconta una storia diversa. Sara parla della collega che, origliando una telefonata, allunga – senza che le fosse chiesto nulla – due buoni pasto per comprare qualcosa. Luca, appena diventato papà, per sbaglio ha lasciato in macchina due giocattoli: due, come i bambini che si trova ad accompagnare al dormitorio e che potranno continuare il loro viaggio un po’ meno soli e in compagnia di questi giochi. Francesco ha portato un compagno di basket, che per la prima volta si lancia e comincia a condividere le impressioni dell’incontro con gli eritrei. Silvia, venuta a conoscenza di queste storie disperate, ha convinto il suo ufficio a raccogliere aiuti.
L’impegno di giovani e adulti, anche vicini ai Focolari, attivi nella raccolta e distribuzione di aiuti, non ha soltanto portato assistenza, ma è riuscito a generare forme ed esperienze di condivisione molteplici. Le esperienze di ciascuno sono piccoli segni, che forse si perdono nella grandezza del problema che affrontano, nell’inadeguatezza delle risposte, nell’incertezza su cosa accadrà a questi profughi, per qualche giorno nostri concittadini e perché no, anche amici.
Il Comune di Milano ha deciso di convocare un tavolo di lavoro dedicato alla presenza eritrea, ma non ha ancora predisposto un’accoglienza efficace per tutti. Resta ancora incerto come continuerà questo transito invisibile. Una sera, dopo la consegna degli aiuti, tra i volontari si parlava del futuro di questi ragazzi e qualcuno commentava che forse mancava anche il presente. Forse, l’unica certezza – in quella sera, e in tutte le altre sere che seguono – sono proprio i gesti spontanei di aiuto, gli unici a rendere differente l’ennesima tappa di un viaggio che continua senza concludersi.