Migrazioni, l’Europa a un punto di svolta
Oggi a Praga nel Palazzo Czernin si riunisce un incontro straordinario del cosiddetto “Gruppo di Visegrad” (o V4), Su invito del primo ministro ceco Bohuslav Sobotka, la premier polacca Beata Szydło, il leader ungherese Viktor Orbán e il collega slovacco Robert Fico per festeggiare il 25° anniversario del Gruppo. In quest’occasione intereverranno anche il presidente della Repubblica di Macedonia, Gjorge Ivanov, e il primo ministro della Repubblica di Bulgaria, Boyko Borissov.
Si parlerà ovviamente di migrazioni, in particolare di quella proveniente dai Paesi balcanici. Ha detto il ministro degli Esteri polacco, Grzegorz Schetyna: «Questi incontri sono importanti, sono le giornate chiave per risolvere questioni importanti nell’immediato, ma soprattutto per il futuro dell’Europa». I Paesi del Gruppo Visegrad sono contrari al sistema delle quote di ripartizione dei migranti proposto da Bruxelles (che peraltro finora ha avuto miseri risultati) ed hanno il legittimo timore che l'ondata migratoria possa danneggiare l'equilibrio interno raggiunto a fatica dopo il tramonto del socialismo reale: in vista del consiglio Ue del prossimo 18 febbraio, in cui si discuterà di nuovo della crisi dei migranti, i quattro partner dell’Est europeo vogliono accordare i violini per poter incidere sull’importante incontro di Bruxelles.
Gran parte della stampa occidentale presenta questo summit come un incontro di “regimi conservatori” che pianificano un «no assoluto all’immigrazione», che vogliono chiudere immediatamente la “rotta balcanica”, che auspicano «tolleranza zero contro l’immigrazione musulmana». In realtà il gruppo di Visegrad sembra soprattutto reagire all’assenza di una politica per l’immigrazione dell’Unione, auspicando misure condivise; altrimenti ognuno farà per conto suo e Schengen morirà de facto.
Quattro auspici: che i desiderata del V4 vengano sottoposti all’analisi del Consiglio Ue e non appaiano dei diktat; che l’Unione giunga finalmente a un accordo che contempli un controllo delle frontiere gestito collettivamente e non secondo le iniziative dei singoli Stati; che i Paesi di entrata (Italia, Grecia, Bulgaria, Ungheria, ma anche Spagna e Paesi baltici) non vengano lasciati soli nella gestione dei flussi; ultimo e principale asupicio, che l’Unione sappia essere ancora quel che i suoi fondatori auspicavano, e cioè un’entità politica capace di gestire con determinazione e autorevolezza i rapporti coi Paesi confinanti, di accogliere i richiedenti asilo, di lenire le sofferenze dei più poveri, di “esportare pace”.