Migranti, regolamento di Dublino verso la riforma

Il Parlamento europeo ha espresso parere favorevole ai negoziati con il Consiglio e la Commissione europea sulle norme che regolano l’accoglienza di quanti richiedono protezione internazionale. La riforma prevede un meccanismo di ricollocamento dei migranti secondo un sistema di quote. Inoltre introduce un principio che tiene conto dei legami familiari e dei legami significativi tra il richiedente asilo e lo Stato in cui vuole andare. Le posizioni dei partiti italiani e degli altri Paesi

La scorsa settimana il Parlamento europeo ha dato l’assenso all’avvio dei negoziati con il Consiglio e con la Commissione europea per riformare il regolamento di Dublino, quello che attualmente prevede che la procedura della domanda di protezione internazionale venga gestita dallo Stato membro nel quale il richiedente fa il suo primo ingresso nell’Unione europea (Ue), con tutti gli oneri economici e logistici che ne derivano. Com’è noto, questo sistema ha messo sotto pressione Paesi come l’Italia e la Grecia, particolarmente esposti all’arrivo dei migranti, anche perché il sistema di divisione dei richiedenti asilo negli altri Stati membri dell’Ue non ha funzionato, soprattutto a causa dell’opposizione di alcuni Paesi dell’Europa dell’Est, il cosiddetto gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca).

Proprio gli eurodeputati di vari schieramenti di questi Stati membri, soprattutto di destra ma anche di sinistra, hanno votato contro la proposta di riforma, assieme agli eurodeputati britannici conservatori dell’Ecr e l’Ukip. Gli eurodeputati italiani hanno votato in modo sparso: favorevoli quelli di Forza Italia, Ap, PD, Mdp, Possibile, Sinistra unitaria (Tsipras), contrari quelli della delegazione M5s ed astenuti quelli della Lega Nord. La proposta di riforma, che ha come relatrice l’europarlamentare liberale Cecilia Wikström, è arrivata dopo un lungo negoziato che ha permesso di trovare un accordo tra le forze di sinistra, i socialisti, i verdi, i liberali ed i popolari.

Il punto cruciale della riforma, che prevede un periodo transitorio di tre anni, riguarda la sostituzione del criterio del primo paese di accesso con un meccanismo permanente e automatico di ricollocamento secondo un sistema di quote, a cui sono tenuti a partecipare obbligatoriamente tutti gli Stati membri. Inoltre la proposta introduce un principio che tiene conto dei legami familiari (fratelli, sorelle, figli adulti in carico ai genitori) e dei legami significativi tra il richiedente asilo e lo Stato in cui vuole andare. Per esempio: se una persona ha frequentato la scuola in un paese o ha avuto precedenti soggiorni, può chiedere di essere spostato lì. Ancora, la riforma introduce un sistema di sponsorizzazione del richiedente, da parte di un ente accreditato, e delinea un meccanismo di filtro per selezionare tra i richiedenti asilo coloro che hanno poche chance di vedere accolta la loro domanda, per i quali la gestione resterebbe a carico dello Stato membro di primo ingresso, che si farebbe carico dei rimpatri dei migranti, con un sostegno da parte dell’Ue.

Ovviamente, questi temi sono estremamente sensibili per alcuni Paesi e per alcuni partiti. Sicuramente, laddove la Commissione si adopererà per trovare un accordo equo e condiviso, la vera battaglia si combatterà all’interno del Consiglio europeo, dove gli Stati membri rappresentati dai rispettivi capi di Stato e di governo baderanno innanzitutto ai loro interessi nazionali e a quelli degli schieramenti politici che rappresentano. Del resto, nel 2018 ci saranno alcune elezioni in Europa che potrebbero spingere il Consiglio europeo a rallentare la sua decisione. Particolarmente importanti saranno le elezioni in Italia e, per questo, viene il dubbio che il M5s e la Lega Nord non abbiano votato a favore della riforma per utilizzare la questione migratoria comearma in campagna elettorale.

Ancora, se permanessero le difficoltà della Germania a formare un nuovo governo, verrebbe a mancare un attore fondamentale nella governance europea. D’altronde, se alcuni Stati membri non sono disponibili ad accettare la ricollocazione dei migranti, questa non può certo essere imposta. Indubbiamente, come sostenuto dalla Francia, bisognerebbe definire accordi con i Paesi di origine dei migranti per favorirne il rimpatrio. Ma questo non basta e non sempre – vedi il caso della Libia – viene gestito in maniera adeguata.

Bisognerebbe impostare degli accordi di cooperazione con i Paesi africani (e non solo) coinvolti e migliorare le condizioni di vita delle rispettive popolazioni. Inoltre, sarebbe necessario contrastare quei fenomeni criminali che sfruttano le dinamiche migratorie: sono ben note le condizioni di segregazione e schiavitù che vivono i migranti in Libia, ma meno note sono le condizioni di disagio nei Paesi di origine o di quei fenomeni di vere e proprie migrazioni forzate, cioè di gruppi criminali o terroristici che strappano uomini e donne dai loro villaggi e li costringono a migrare verso l’Europa. Se il fenomeno migratorio non può essere arrestato, è pur vero cheva governato e l’unico modo per farlo è quello di aprire dei canali di migrazione regolare, per motivi umanitari o economici, contrastando con ogni mezzo quei fenomeni di migrazione irregolare che arricchiscono governi corrotti, criminali e terroristi.

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