Migranti e vicenda Rackete, parla Salvatore Rizzo Pipo: coordinò il trasferimento della comandante

Continua l'emergenza migranti nel Mediterraneo. Il papa ha lanciato un messaggio a non girarci dall'altra parte per non vederli. Prosciolta definitivamente Carola Rackete. Intervista a Salvatore Rizzo Pipo, comandante della sezione operativa navale della Guardia di Finanza di Licata, che coordinò le operazioni di trasferimento della comandante della Sea Whatch 3 da Lampedusa ad Agrigento.

Ultimo scorcio del 2021: la questione dei migranti è ancora in primo piano. Quattordici corpi senza vita sono stati trovati al largo delle coste libiche. Quarantadue i dispersi, perché nel barcone naufragato c’erano almeno sessanta persone. Altri ventisette morti in Grecia, al largo delle isole dell’Egeo. Andranno invece ad Augusta, in provincia di Siracusa, 558 naufraghi soccorsi da una nave di Medici senza frontiere. È un bilancio doloroso quello dell’anno che si chiude, con centinaia di persone che sono sbarcate in questi giorni a Pozzallo, Trapani e Isola di Capo Rizzuto, dove nel giorno di Natale è arrivata una barca a vela con cento persone a bordo.

Un grido di dolore delle centinaia di morti in mare che non può lasciare indifferenti. Papa Francesco, nel giorno di Natale, nel breve messaggio che ha preceduto la benedizione Urbi et Orbi ha pregato e lanciato un messaggio, chiedendo a Dio di non lasciarci «indifferenti di fronte al dramma dei migranti, dei profughi e dei rifugiati. I loro occhi ci chiedono di non girarci dall’altra parte, di non rinnegare l’umanità che ci accomuna, di fare nostre le loro storie e di non dimenticare i loro drammi».

E le cronache delle migrazioni ci raccontano anche del secondo e definitivo proscioglimento di Carola Rackete, la comandante della Sea Whatch 3, protagonista di vicende finite agli onori della cronaca due anni e mezzo fa, nel giugno 2019, per il suo approdo non autorizzato nel porto di Lampedusa e per il presunto speronamento della motovedetta della Guardia di Finanza che, ormeggiata nel porto, si mosse nel tentativo di sbarrarle la strada ed impedirle l’attracco.

È stata archiviata l’inchiesta che era stata avviata dalla Procura di Agrigento con l’accusa di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Il gip del Tribunale di Agrigento, Micaela Raimondo, ha accolto la richiesta della Procura ed ha decretato che «Carola Rackete ha agito nell’adempimento del dovere di salvataggio previsto dal diritto nazionale e internazionale del mare». La decisione chiude la “stagione difficile” dei decreti voluti dal ministro degli Interni dell’epoca, Matteo Salvini, che stabiliì la chiusura dei porti italiani, lanciando per mesi e mesi una campagna per impedire gli approdi delle navi delle Ong con i migranti recuperati in mare.

In precedenza, nell’aprile scorso, Carola Rackete era stata assolta dall’altra accusa, quella di resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra, cioè l’accusa che era nata attorno al presunto speronamento. E ancora, nel 2020 la Cassazione aveva dichiarato “illegittimo” l’arresto di Carola Rackete.

Si conclude quindi la vicenda giudiziaria che ruota attorno alla ex comandante, che dopo quei giorni difficili lasciò l’Italia e tornò in Germania: giorni in cui il clamore mediatico superò di gran lunga l’effettiva portata della vicenda, di per se gravissima, perché la Sea Watch 3 con 40 migranti a bordo fu costretta a rimanere 40 giorni in mare senza che venisse autorizzato l’attracco. Le decisioni della magistratura hanno sancito, in qualche modo, l’illegittimità del decreto scurezza bis del governo Conte 1 e del suo ministro, Matteo Salvini.

Tra i testimoni di quei giorni c’è Salvatore Rizzo Pipo, il comandante della sezione operativa navale della Guardia di Finanza di Licata. Dopo l’arresto della comandante, fu lui ad incaricarsi del suo trasferimento da Lampedusa ad Agrigento, a bordo della motovedetta. Oggi, il luogotenente Rizzo Pipo, in pensione, vive nella sua città d’origine, Vittoria.

«Erano giorni particolarissimi e si viveva un clima di grande tensione – racconta –, c’era una grande pressione del governo. Diressi da Licata l’operazione di trasferimento di Carola Rackete da Lampedusa al tribunale di Agrigento, approdando a Porto Empedocle. Il mio equipaggio prese in consegna la comandante Carola Rackete: per tutto il tempo abbiamo fatto il possibile per garantire la sua tranquillità e impedire, ad esempio, che venissero scattate delle foto durante il trasferimento, nel rispetto della persona. Il nostro compito era di condurla al tribunale di Agrigento e lo abbiamo fatto».

Che ricordo ha di Carola Rackete?
«Una persona serena, sicura di se. Non ha parlato molto, ma si è sempre mostrata molto tranquilla. Credeva in ciò che faceva».

Cosa ci può dire dello speronamento della nave di Rackete alla motovedetta della Guardia di Finanza?
«Io non ero presente e non ho assistito. Ma so cosa sono gli speronamenti, nel mio lavoro mi sono trovato in situazioni in cui si era verificato un reale speronamento. Le sentenze hanno detto la parola “fine” sulle vicende di quei giorni. C’era un clima teso per questo speronamento, una forte pressione mediatica innescata dalle forze politiche e da una parte dell’opinione pubblica e tutto risentiva della tensione che si era creata. Ho sempre creduto nella magistratura: la Procura di Agrigento agì con grande equilibrio».

Cosa resta di quei giorni nei suoi ricordi?
«Ebbi un ruolo marginale in quella vicenda. Ma ciò che ho vissuto resta: il salvataggio di esseri umani in mare e il diritto di poter approdare a terra non possono essere messi in discussione».

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