Migranti, morte e polemiche
Un altro naufragio nel Mediterraneo. Stavolta le vittime accertate sono 30. Un’imbarcazione con 47 migranti a bordo è affondata a circa cento miglia dalle coste libiche.
Ancora una volta, è rimpallo di responsabilità per individuare chi sarebbe dovuto intervenire e non l’ha fatto. Chi ha atteso tempi che le leggi del mare spesso non concedono.
L’allarme lanciato da Alarm Phone e poi da Sea Watch. Le autorità italiane avrebbero atteso l’intervento della Guardia costiera libica che però non c’è stato. Momenti preziosi, che hanno determinato la tragedia.
L’Imrcc (Italian Maritime Rescue Coordination Centre), che coordina il soccorso marittimo in Italia, aveva chiesto l’intervento di un mercantile di passaggio che però pare non fosse attrezzato.
Momento dietro momento, si sono persi attimi preziosi che hanno determinato la tragedia. E il rimpallo di responsabilità tra Italia e Libia non muta lo scenario tragico: trenta vita umane non ci sono più a causa di ritardi e disguidi. Quella barca in balia del vento tra le onde aveva bisogno di soccorsi immediati. Che non ci sono stati. E quando qualcuno ha deciso che era tempo di intervenire era ormai troppo tardi.
A due settimane dalla tragedia di Cutro, l’Italia è ancora una volta nell’occhio del ciclone. Le opposizioni attaccano e lo fa anche la neo segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, che definisce l’accaduto «una vergogna per l’Italia e per l’Europa». E aggiunge: «Non possiamo più vedere il Mediterraneo ridotto a un grande cimitero a cielo aperto».
Le critiche arrivano anche dai Socialisti e Democratici Ue (S&D). La presidente del gruppo dei Socialisti dell’Unione Europea, Iratxe Garcia Perez, parla di «catastrofe evitabile che mostra la vera mancanza di umanità e compassione nel governo Meloni».
Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, l’uomo degli equilibri e del dialogo nell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, invita a non strumentalizzare; ribadendo che «La Guardia costiera, la Marina militare italiana e la Guardia di finanza non lasciano mai nessuno senza soccorso».
Oggi si cerca di ricostruire la dinamica di quanto è accaduto. La lentezza, il tentativo di rimpallo di responsabilità sono gli elementi salienti in una vicenda in cui ciascuno afferma di non avere colpe. E ciò nonostante le trenta vittime, un numero enorme, con appena 17 persone tratte in salvo.
Numero che si aggiungono a quelli, non ancora definitivi, della tragedia di Cutro: le vittime accertate, in Calabria, sono 79. E la vicenda si configura, sempre di più, come una strage di bambini. Trentatrè morti sono minori, 24 tra loro avevano meno di 12 anni, alcuni avevano solo pochi anni.
Tutto questo mentre il governo Meloni e le sue scelte restano nell’occhio del ciclone.
La premier è andata a Cutro per approvare (in una sede simbolica) il decreto migranti che porta la data del 9 marzo ed è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il giorno dopo. Esso porrebbe delle restrizioni a coloro che hanno una protezione temporanea, che è stata istituita dopo l’eliminazione (dal 2020) della protezione umanitaria. In Italia oggi potrebbe riguardare circa 10.000 persone che, se vengono meno i requisiti, potrebbero essere costrette ad abbandonare il paese o verrebbero a trovarsi in una situazione di illegalità nonostante siano in Italia da tempo e qui lavorino trovando una certa stabilità. Su questa norma il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha chiesto alle forze politiche un’ulteriore riflessione, perché potrebbero ravvisarsi profili di incostituzionalità per ciò che attiene i diritti delle persone.
Meloni non ha reso omaggio alle salme, non è andata sulla spiaggia di Cutro; ha però reso omaggio alle vittime con una targa in Municipio. I gesti simbolici, le scelte, sono carichi di significato in questi giorni in cui ci si muove tra le acque agitate (e non è solo un eufemismo).
L’Italia ancora una volta è il Paese che richiama il maggior numero di approdi. Le polemiche tra le diverse posizioni tengono banco. E intanto in mare si continua a morire.
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