Migliori di ieri?
Diciamolo pure, in un mondo che sembra andare a rotoli ogni giorno di più, lo sguardo prevalente di pessimismo nei confronti di tutto e di tutti si posa con particolare disillusione sulle sorti di questa società dominata da efferatezze domestiche, terrorismi di vario genere, disordini a più livelli. E se la sfiducia serpeggia già circa il presente, figurarsi nei riguardi del futuro. Quel futuro dietro il quale vediamo occhi di bambini, ragazzi, giovani, insomma di tutte quelle persone che prima o poi prenderanno in mano le redini del mondo. E allora non è retorica la domanda: I giovani d’oggi sono migliori o peggiori di quelli di ieri? Come sarà il futuro? Un rapido sguardo alla realtà difficilmente induce all’ottimismo. Ci vuole una lettura più in profondità per non essere travolti dall’angoscia, al pensiero che dopo di noi sarà sempre peggio. E i primi a chiederselo, probabilmente, sono i giovani stessi e chi ne è a diretto contatto. Giovani d’oggi: migliori di ieri? è un interrogativo cui hanno provato a dare risposta, fra i tanti, studenti e docenti che aderiscono alla Rete progetto pace, una rete internazionale di cui fanno parte quasi 200 soggetti fra scuole, enti ed associazioni, con circa 50 mila studenti, promossa dal Ministero della pubblica istruzione – Ufficio scolastico regionale Veneto, con l’istituto Fabio Besta di Treviso, iniziatore e attuale capofila (vedi www.besta. it/reteprogettopace). Della sua storia e delle sue attività tra cui stage, concorsi, viaggi umanitari internazionali, corsi di formazione, abbiamo già parlato sulle nostre pagine (cfr. n° 23/1997 e 9/2001). Quest’anno la Rete ha raggiunto la maturità: festeggia infatti il suo diciottesimo anno di vita e lo fa in piena salute, con una crescita costante e un futuro sempre più internazionale davanti a sé. Giovani d’oggi: migliori di ieri? è diventato un libro scritto dal coordinatore della Rete, il prof. Giuseppe Provenzale, che ne ha visto gli albori. Ed è stato anche il titolo della manifestazione che vede ogni anno convenire studenti da mezza Italia per uno stage-meeting. Un evento che ha fornito una chiave di lettura interessante al quesito. Ad individuarla sono stati appunto gli studenti che nel corso dello stage hanno deciso che quel punto di domanda poteva essere cancellato dal titolo se ci si poneva in un’ottica diversa. E per questo hanno lanciato al pubblico e ai mass media una proposta provocatoria: No bad news, without good news, Niente cattive notizie, senza buone notizie, un invito affinché la realtà giovanile non sia dipinta sempre e solo a tinte fosche, ma possano trovare spazio nell’informazione anche i contributi positivi di tanti giovani che nella quotidianità vivono e credono nei valori. Una proposta che è diventata una petizione, firmata dai quasi tremila studenti presenti provenienti da tredici regioni italiane e da diverse nazioni del mondo ed estesa a tutte le scuole della rete e non, inviata ai media locali e nazionali. Perché, come sostiene il prof. Provenzale, la comunicazione ed il rapporto coi media, sono evidentemente molto importanti. E se da un lato non deve essere ritenuto prioritario, è anche vero che riuscire a coinvolgerli nelle nostre esperienze può contribuire a migliorare la qualità dell’informazione e favorire una sua ricaduta sull’opinione pubblica. Per far sì che il positivo diventi notizia occorre però ingegnarsi in modo intelligente. Ad esempio costruendo nel tempo coi giornalisti dei rapporti profondi che li aiutino a conoscere bene il progetto lungo tutto il percorso. E favorendo il contatto dei giovani coi media, non solo facendo loro conoscere questo mondo complesso, ma rendendoli protagonisti della comunicazione stessa. Così è stato con alcune trasmissioni radiofoni- che e televisive che hanno visto gli studenti argomentare in maniera disinvolta, di fronte a microfoni e telecamere, le motivazioni del loro progetto. Succede così che i media, sempre numerosi, che intervengono ai vari eventi promossi dalla Rete, vedendo tutti questi ragazzi dalle provenienze più diverse impegnati per promuovere una cultura di pace dopo averne fatto la pratica essi stessi, guardano con molta attenzione a questi studenti. Sicuramente si tratta di giovani che stanno costruendo, all’interno dell’istituzione scolastica, una realtà della quale si sentono protagonisti veri – continua Provenzale -, qualcosa insomma che non arriva come una proposta, pur valida, ma dall’esterno: sono loro stessi che la inventano, la progettano, la migliorano, la sviluppano, aiutati da docenti meravigliosi che li sostengono da dietro le quinte. La valorizzazione delle capacità culturali ed artistiche, la pratica dello sport e del volontariato, sono le colonne portanti, ma la novità è quella di fondere insieme tali elementi, collaborando con scuole da regioni e nazioni diverse, dando vita a continue sinergie dalle quali emergono sempre nuove idee e nuovo entusiasmo. A questo punto una domanda è quasi d’obbligo. Tutti bravi ragazzi? E i docenti, inguaribili ottimisti? Non proprio. I ragazzi sono, appunto, quelli di oggi, con le loro contraddizioni, le loro insofferenze, la loro inquietudine alla ricerca di un senso della vita spesso smarrito. Li ho visti di giorno consegnare aiuti umanitari e affrontare con generosità e spirito di sacrificio disagi e fatiche per caricare e scaricare pacchi pesantissimi, saltare pranzi o cenare in ore impossibili – racconta il prof. Provenzale – e poi la notte scatenarsi in modo imprevedibile e del tutto inaccettabile, un po’ come succede nei normali viaggi d’istruzione. Secondo il coordinatore della Rete ci sono più spiegazioni a questi comportamenti. Sarebbero, come tanti studiosi affermano, un prodotto tipico delle nostre società occidentali segnate da una sete di protagonismo… Tanti ragazzi decidono di assumere certi comportamenti per evitare di essere esclusi dai propri gruppi sociali. Anche perché spesso i leader negativi hanno più di quelli positivi la capacità di condizionare intere comitive. Ma ci sarebbe una risposta che chiama in causa gli adulti, genitori, professori, educatori che dir si voglia. Se una società vuole che i propri giovani siano quelli che dovrebbero essere, deve pagare un prezzo: ci vuole qualcuno che si occupi della loro formazione rinunciando a qualcosa. Forse è più vero che desideriamo avere dei bravi giovani, ma mettere a disposizione la nostra vita, dedicare loro del tempo con continuità, farci insomma vicini al loro mondo, forse non siamo disposti a farlo. In fondo i ragazzi della Rete progetto pace non fanno parte di una associazione umanitaria o di un movimento religioso, non sono neppure scelti fra quelli che hanno 9 in condotta. Sono un campione oggettivo dei giovani d’oggi, degli studenti delle nostre scuole che guardiamo ogni giorno, ma con quali occhi? La mia risposta al coraggioso quesito iniziale non può dunque essere che una: Tolgo il punto di domanda. Per far questo occorre pensare ad esempio alla loro capacità di essere veri, cioè più capaci di dire quello che pensano e che vivono, all’apertura che hanno nei confronti del mondo, all’impegno per la solidarietà, alla spontaneità nell’interagire con persone di altre nazionalità… Ma, appunto, bisogna tirar fuori la parte migliore e metterla in azione. Bella sfida per il nuovo anno scolastico. Chissà se ce la faremo a dire: Studenti d’oggi: migliori di ieri?. In bocca al lupo!