Microimprese africane ed europee alleate per lo sviluppo
Una collaborazione virtuosa tra pmi (piccole e medie imprese) italiane ed europee e microimprese africane, per offrire un valido percorso di uscita dalla crisi alle une e sostegno nell’ottica dello sviluppo sostenibile alle altre: potrebbe essere riassunta così l’idea alla base del Progetto Employ e di numerosi altri avviati dal Comitato di collegamento dei cattolici per una Civiltà dell’Amore, attivo da una trentina d’anni nei Paesi in via di sviluppo.
L’ultimo passo di questo lungo cammino è stata la presentazione alla Camera lo scorso 25 maggio della campagna “Creiamo lavoro in Africa”, volta a sensibilizzare cittadini, piccole e medie imprese ed enti industriali all’idea di sviluppare progetti che creino lavoro nei Paesi africani di origine dell’esodo verso l’Europa, per evitare così il dramma dell’emigrazione forzata. L’ingegner Giuseppe Rotunno, presidente del Comitato, ci racconta quale lavoro è stato portato avanti negli scorsi anni e che cosa è in opera ad oggi.
Ingegner Rotunno, qual è stato il percorso che ha portato fino a qui? Questo progetto nasce da tante piccole iniziative a sostegno delle microimprese che negli anni abbiamo portato avanti con i missionari. Da subito abbiamo cercato di definire una metodologia di intervento puntuale per rispondere alle loro domande – acqua, sanità, formazione, sostegno all’agricoltura – e abbiamo visto degli effetti straordinari nel sostenere il loro lavoro. Così 5 anni fa abbiamo avviato quest’iniziativa, volta a contrastare il dramma dell’emigrazione e allo stesso tempo la crisi delle piccole imprese europee. Ci siamo infatti resi conto che molte di queste potevano essere utili lì, e con il loro lavoro – lavoro che magari in Patria arrancava – essere utili allo sviluppo: abbiamo così iniziato a pensare ad una cooperazione autenticamente virtuosa tra piccole aziende europee ed africane. E sottolineo microimprese: di cattedrali nel deserto in Africa ce ne sono già tante, portate dai grandi gruppi, non ne servono altre. Grazie anche al coinvolgimento dell’allora Commissario Tajani siamo riusciti a far destinare degli specifici fondi europei alle pmi e alla cooperazione; questione che abbiamo rilanciato nel 2014 alla nuova Commissione Junker, dato che i fondi venivano destinati in maniera quasi esclusiva ai migranti e non ai loro Paesi di provenienza. A novembre 2015 il vertice Ue-Africa de La Valletta ha poi lanciato un fondo fiduciario per le microimprese rivolto principalmente all’Africa subsahariana, e questo è stato il più importante tra gli ultimi passi fatti. Ora è importante che entrambe le parti siano bene informate su queste opportunità: da un lato infatti le microimprese africane molto spesso non sono preparate sotto il profilo tecnico e burocratico per poter accedere ai bandi e ai finanziamenti, dall’altro quelle italiane ed europee magari nemmeno li conoscono questi bandi.
Quali sono i progetti più importanti? Tra quelli avviati in passato c’è indubbiamente quello in Costa d’Avorio: partito nel 2002 con 24 microimprese, ora se ne contano più di 2000, a cui hanno lavorato insieme artigiani italiani e locali. Tra quelli più recenti c’è invece Employ, in Etiopia, finanziato dal ministero degli Esteri e realizzato in collaborazione con ong sia europee che locali, università Unilink, aziende e istituti di microcredito. L’obiettivo è il sostegno allo sviluppo dell’agricoltura in una zona molto povera del Paese, il Wolayta, puntando sia sulla formazione degli agricoltori che sull’approvvigionamento idrico ed energetico: si va dall’installazione di un centinaio di micro-grid indipendenti basati su energia rinnovabile per una potenza complessiva tra 0,5 e 2 Mwp, all’installazione di pompe d’acqua e serbatoi, al potenziamento delle infrastrutture. Al momento sono coinvolti un centinaio di villaggi, in cui vivono nel complesso 500 mila persone.
Ed ora? Con il lancio della campagna a fine maggio vogliamo sensibilizzare ulteriormente tutti gli attori in campo. Le istituzioni e le pmi, sia europee che africane, hanno bisogno di un ponte di collegamento nell’ottica del reciproco sviluppo. Le istituzioni mettono a disposizione i fondi, le imprese i mezzi per realizzarli: serve una forza organizzativa per poter essere capillari.