Michele Riondino naziskin e predatore

Insieme ad Alessandra Mortelliti, è protagonista dello spettacolo "La vertigine del drago", che è anche un atto di denuncia e una riflessione sulla necessità di una cultura della tolleranza
Spettacolo La vertigine del drago

Sensibile al mondo di figure marginali, Alessandra Mortelliti, nel fotografare una realtà violenta, nel denunciare un contesto giovanile xenofobo, nel tirare in ballo figure borderline, rivela attinenze con Lars Norén. Uno stato di cose, però, che a differenza del drammaturgo svedese, apre a lampi di speranza. Li troviamo, in filigrana, in La vertigine del drago, secondo testo della giovane scrittrice romana, attenta osservatrice della società contemporanea.

Mortelliti ha immaginato di innescare una miscela esplosiva chiudendo in uno squallido garage due esseri umani agli antipodi per osservarne, in vitro, le reazioni. La vertigine del titolo fa riferimento a quella reale, fisica ed emotiva, della quale, in maniera diversa, soffrono i due infelici e disadattati protagonisti: Francesco, un iniziato naziskin, con un recente passato di marito e padre sbagliato; e Mariana, una zingara zoppa ed epilettica, ballerina mancata e con la passione dei film.

Durante un'incursione in un campo rom con l’intenzione di bruciarlo, il giovane rimane ferito dal colpo di pistola sparato da un uomo che, in seguito, scopriremo essere l'anziano marito della ragazza alla quale era destinato il proiettile. Trascinandosela dietro come ostaggio, si rifugia nella sua angusta rimessa. Nell'attesa della telefonata dell'Ordine che deciderà cosa farne della ragazza, i due, costretti a una convivenza forzata, abbandonati dai rispettivi clan, scopriranno ferite esistenziali comuni: l'esclusione, la solitudine, la rabbia, il tradimento.

Con un linguaggio crudo, verbalmente manesco, il ragazzo è l'emblema di un'emarginazione ribelle scandita dal culto di un nazismo strisciante come unico schermo alla propria inadeguatezza: un delirio nichilista, la negazione di ogni valore, che Nietzsche chiama "il più inquietante tra tutti gli ospiti". Eppure, nel finale, affiorerà un barlume di compassione suscitata dall'aiuto della rom che riesce a estrarre il proiettile al giovane.

Scandito con la forza di un combattimento impari, soprattutto contro sé stesso, La vertigine del drago trova in Michele Riondino, protagonista e regista dello spettacolo, con, in scena, la stessa brava autrice, una febbricitante recitazione che rende palpabile, in un crescendo di violenza verbale, la sofferenza interiore per l'assenza di futuro in un tempo vuoto di ideali. Con una messinscena dal timbro visionario, assecondata da lampi d'ironia su certa enfasi nazionalista, Riondino, pieno di tatuaggi e look da stereotipo nazi, immagina un delirante sogno del protagonista dietro una finestra, intento in gesti che sembrerebbero sanguinolente efferatezze, in realtà finalizzate alla preparazione di una torta: per mostrarci una diversa, fragile indole che vive nella sua anima xenofoba, come già lo mostrava la sua iniziale apparizione con un palloncino in mano.

In questo ritratto di sociopatia giovanile egli rispecchia una fetta di società allo sbando, giovani spesso vittime di modelli sbagliati, che trovano nell'aggressione allo «straniero» la propria giustificazione, la chance altrimenti impossibile di coltivare un senso di superiorità condito di «ideali». Nel segno di una pregnante attualità, affrontando temi scottanti, di rilevanza sociale, La vertigine del drago diventa un atto di denuncia, una riflessione sulla cultura della tolleranza sempre più necessaria.

"La vertigine del drago", di Alessandra Mortelliti, con Michele Riondino e Alessandra Mortelliti, supervisione al testo Andrea Camilleri, scenografia e costumi Biagio Ferini, disegno luci Luigi Biondi. Produzione Artisti Riuniti in collaborazione con Palomar e 15 Lune. A Catania, Teatro Musco, fino al 16/2; Milano, teatro Fontana, dal 18 al 23; Roma, Teatro Ambra alla Garbatella, dal 25/2 al 2/3.

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