Michele La Ginestra attore poliedrico
A Teatro 7 si fa teatro, solidarietà, laboratori e, da quest’anno, provini solidali. Ce ne parla?
Tanti anni fa, nell’ambito di un’associazione di volontariato, abbiamo deciso di perseguire questo concetto di solidarietà attraverso la disponibilità di alcuni professionisti. Abbiamo una Onlus che si chiama “Teatro 7 Solidarietà Onlus” che ha adottato una missione in Mozambico. Abbiamo costruito due scuole, un dormitorio, sosteniamo alcuni ragazzi agli studi. Facciamo tante attività di solidarietà all’interno del territorio nazionale e collaboriamo con sessanta Onlus amiche.
Quest’anno abbiamo deciso di fare i provini solidali, finalizzati non solo a reperire gli artisti, ma a dare la possibilità ai giovani di poter fare un provino davanti a un pubblico. I soldi raccolti attraverso la vendita dei biglietti li diamo interamente in beneficenza. Abbiamo fatto cinque serate molto interessanti, sessanta ragazzi sul palcoscenico, io facevo da trait d’union e da questi provini sono usciti sei attori che abbiamo preso per gli spettacoli del Teatro 7.
Tengo molto ai giovani. Facciamo dei laboratori teatrali indirizzati a loro. Per me la cosa importante è che i ragazzi imparino, attraverso il mezzo teatrale, a stare insieme, a conoscere meglio se stessi, le proprie capacità espressive, a costruire un progetto comune. Mi piace l’idea che possano venire a teatro a vedere degli spettacoli che dicono qualcosa. Adesso siamo in scena con Massimo Wertmuller con “Come Cristo comanda”: voglio che vengano i giovani, perchè questo messaggio bellissimo, che è l’invito all’ascolto, deve essere udito da loro.
Con Massimo Wertmuller avete condiviso il grande successo di questo spettacolo. Perché dare voce a due centurioni romani?
Wertmuller è un grande attore, mi ha appassionato come attore e come essere umano perchè è una persona sensibile e ho scritto questo spettacolo pensando a lui. L’ha letto, ha detto che gli è piaciuto ed è stata la prima carezza che ho ricevuto per questo spettacolo, che è un po’ particolare: parla della morte e crocifissione di Cristo. Mi domandavo: quando uno vive un evento eccezionale in diretta, si rende conto che quell’evento è eccezionale? I due centurioni, che erano di guardia alla croce di Cristo, avranno capito quello che è successo? Uno sembra che l’abbia capito, l’altro sembra che non lo voglia capire e da questo nasce un confronto che ci portiamo dietro da duemila anni: è un evento soprannaturale oppure c’è un uomo che muore, un brav’uomo, ma niente di più?
Il teatro ha la necessità di dire qualcosa che ti accompagni nella riflessione anche quando sei uscito. È bello far ridere le persone ma ridere per ridere rimane fine a se stesso, invece è necessario che ti porti a casa, tra una risata e l’altra, uno spunto sul quale soffermarti. Questo spettacolo è frutto di una ricerca interiore, della voglia di cercare di capire. Anche nella fede ci fermiamo alle nostre certezze ma non basta, bisognerebbe andare oltre quello che sappiamo per scoprire delle sfaccettature diverse. La voglia di capire con gli occhi di chi ha vissuto questa esperienza, di “fasse capace de capì” – dice uno dei due – stimola a ricercare quotidianamente qualcosa in più.
Sta vivendo un momento felice della sua carriera, tra teatro, televisione, la partecipazione al programma di cucina “Dolci tentazioni”, TV2000…
Sono in un momento felice della mia carriera che dura da sempre. Pian piano ho scoperto che la felicità non deriva da quanto pubblico ti dice “bravo”, ma dalla qualità. Sono a Teatro 7, poi sarò al Sistina. Se riesco a essere seguito a Teatro 7 da quattromila persone è bellissimo, poi ne avrò ottomila al Sistina. Non è quello l’importante, ma è riuscire a fare qualcosa che mi piace e che può essere utile agli altri. La televisione serve, è un passaggio per essere più conosciuto, TV2000 mi da la possibilità di essere seguito dalle masse facendo una tv di qualità, la trasmissione di cucina mi da la possibilità di essere conosciuto da qualcuno cui magari non interessa il teatro.
Le rimane tempo per la famiglia?
Sì. Mi piace fare il padre, mi piace fare il marito, stiamo perseguendo quello che ci eravamo prefissati: costruire una famiglia e non fermarci al nucleo familiare, diventare parte attiva di questa società, attraverso quello che Teatro 7 riesce a fare. La costruzione della famiglia è un lavoro che si fa all’inizio e hai voglia di perseguirlo per tutta la vita con la consapevolezza che non è una cosa facile. Da credente dico che la grande forza del rapporto matrimoniale deriva dal fatto che lo hai affidato nelle mani di un Papà buono. Faccio sempre l’esempio: quando hai una cosa preziosa e sei bambino, dici: “papà, me la tieni che se no la rompo?” A me sembra di avere fatto così con il mio matrimonio.