Mibac, una musa dal canto flebile

Momento poco idilliaco per la gestione statale dei beni culturali tra tagli e proposte di legge che prevedono “opere a noleggio”. Un dibattito culturale e identitario
Venere

È di pochi giorni fa l’allarme lanciato della Cgil di una possibile soppressione della Soprintendenza dei beni storico-artistici di Salerno che metterebbe a rischio paralisi una parte importante del patrimonio artistico, mentre solo alcune settimane prima il ministro per i beni e le attività culturali Galan, aveva dichiarato: «A fronte di una donazione per un restauro, si otterrà il diritto di una targhetta ricordo sul monumento».

 

Ma a far innalzare ulteriormente la preoccupazione tra studiosi e addetti ai lavori ci pensa la proposta di legge dell’onorevole Domenico Scilipoti: «Le opere d’arte, inclusi reperti archeologici e similari, possono essere offerti in noleggio per un periodo prefissato di dieci anni tramite asta pubblica da gestire per via telematica». L’obiettivo sarebbe quello di «valorizzare opere d’arte che giacciono inutilizzate o sottoutilizzate in depositi museali o in altre sedi,» promuovere l’arte e la cultura italiana nel mondo e ridurre il debito pubblico.

 

Fatti ed affermazioni che assommati aprono lo scenario ad una ben più complessa situazione in cui versa il Ministero per i beni e le attività culturali (Mibac). Che la situazione non fosse florida si sapeva da tempo, ma i tagli ulteriori che in tre anni la manovra di agosto ha riservato ai beni e alle attività culturali − si aggirano attorno ai 55,2 miliardi −, porterebbero in prima battuta ad un indebolimento delle funzioni del Mibac nella gestione del patrimonio, delle Soprintendenze, degli archivi e delle biblioteche, e in seconda a decretare l’impossibilità di inserire nuove leve, in un ministero dove l’età media si aggira intorno ai sessant’anni.

 

Non a caso in questi giorni l’Associazione italiana archeologi si sta mobilitando con una petizione per la ratifica− da parte dell’Italia − della Convenzione europea firmata a La Valletta il 16 gennaio 1992 . Secondo tale accordo le risorse economiche la tutela verrebbero inserite nel bilancio dei lavori sia pubblici che privati, creando posti di lavoro qualificati come già avviene in altri Paesi.

 

La direzione di marcia verso cui sembra procedere il Mibac da qualche anno, ma per il momento solo a parole, è quella dei finanziamenti privati e questo ha portato ad una querelle aperta con molti studiosi. Secondo questi ultimi infatti, i contributi esterni alle opere di restauro – l’ultimo esempio vuole Della Valle in testa tra i finanziatori del Colosseo –, sottoporrebbero i beni culturali a delle insostenibili logiche di marketing.Una targa ricordo che lo celebri sul monumento stesso, poi, sarebbe una contraddizione in termini, tanto più se dovessimo pensare ad quelle meravigliose fabbriche delle cattedrali medievali, in cui il nome del singolo architetto o dei benefattori , cedevano il posto al fine ultimo: glorificare Dio.

 

Ma a destare preoccupazione presso gli addetti ai lavori è anche la possibile soppressione della Soprintendenza di Salerno: un atto che metterebbe in pericolo l’intero sistema della tutela, ambito in cui il nostro Paese detiene il primato. Allo stesso modo la proposta di legge di Scilipoti indurrebbe ad uno svuotamento della funzione delle soprintendenze o dei poli museali, nei quali le opere sono collocate, riducendoli a meri uffici tecnici per il lasciapassare di “opere noleggiate a ore” tra un evento privato e l’altro. Tra le “opere a noleggio” proposte nelle ultime ore c’è la Velata di Raffaello che potrebbe sbarcare in un albergo di Montecarlo per il Ballo del giglio del 2011.

 

E tra considerazioni e opinioni non può rimanere defilato il fatto che questo dibattito, seppur doloroso e che vede protagonisti i prodotti della cultura dell’essere umano, ha il pregio di profilarsi in maniera quasi unica come una delle poche questioni culturali in senso stretto in Italia. Alla gestione di una macchina costosa come quella del Ministero si contrappone la richiesta degli addetti ai lavori di porre i beni culturali, intesi come bene comune, al centro di ogni riflessione in merito come frutto di una coscienza allargata.

 

L’arte come elemento immortale che ancor oggi è in grado di parlarci di unità ed identità, di valenza umanizzatrice, intellettuale e morale, tanto da renderla, nelle sue varie espressioni, presenza unica e insostituibile della nostra vita spirituale. Non semplici orpelli, dunque, ma beni comuni da salvaguardare per il loro valore passato e soprattutto per quello futuro.

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