Mia moglie aveva bisogno di un amico
Gianluca era operaio, Eleonora pittrice. Un grande amore ormai tramontato. Poi quella nuova, strana convivenza.
L’ultima volta trascorsa in quella casa fui spettatore di una scena interessante: al piccolo Ruggero era stato suggerito di rimettere i giocattoli al loro posto altrimenti, se andava a dormire lasciandoli in disordine, qualcuno se li sarebbe portati via.
Vidi Ruggero eseguire il suo compito con una certa frenesia, forse paura. Alla fine, quando i giocattoli furono al sicuro, lui felice alzò le braccia in segno di vittoria.
Ora Ruggero ha finito l’università e attende di abilitarsi come avvocato. È un giovane serio e pronto per affrontare la vita. Non è rimasto l’unico figlio. C’è anche una sorella Clara.
Gianluca, papà di Ruggero, è operaio. La madre, Eleonora, è pittrice. Il loro è stato un matrimonio di grande amore ma presto le differenze cominciano a logorare le fondamenta e un rapporto giudicato invincibile svanisce nel vento.
In una mostra Eleonora conosce un pittore che le fa perdere la testa. Dopo una stagione di euforica ritrovata gioventù, lei comunica a Gianluca la sua intenzione di andare a vivere con il nuovo compagno, ma chiede di mantenere in casa il suo atelier per dare a Ruggero la sensazione di continuità.
Gianluca, dopo qualche notte insonne, per amore del figlio accetta la tragica farsa: «Ho cercato di mettermi in testa che mia moglie era morta. Sì, c’era la speranza che, passata la passione, Eleonora avrebbe ritrovato la pace. Io la capivo. Del resto lei per me aveva lasciato un giro di amicizie, la sua città. Ho cominciato ad abituarmi all’idea di non avere nessun diritto, soffocando un certo complesso di inferiorità che di tanto in tanto avvelenava la pace che ritrovavo».
Gianluca, con la saggezza che gli viene dalla vita stessa, sa attendere, ma vive un momento di disperazione quando viene a sapere dalla moglie che attende un bambino e ha intenzione di andare via da casa definitivamente.
Per padre e figlio seguono anni difficili. Anni di solitudine e di domande senza risposta. Gianluca aiuta il figlio a riconoscere nella madre i tratti migliori e ad accogliere la sorellina come un dono anche per lui.
Ma Eleonora, dopo alcuni anni, si ritrova sola. Gianluca, attraverso amici, viene a sapere della sua situazione disastrosa. Era fallito anche un secondo rapporto con un ex drogato che le ha fatto svendere tutte le sue opere lasciandola sul lastrico. Attraverso Ruggero, le manda a dire che la casa è sempre aperta e che per lei e la piccola Clara avrebbe ricavato degli spazi indipendenti.
Inizia una strana, nuova convivenza. Tutti hanno un posto, un ruolo: Eleonora dipinge e si occupa della figlia ormai alle scuole elementari; Ruggero l’aiuta a fare i compiti. I pasti vengono preparati da Eleonora o da una zia che vive accanto a loro.
Gianluca trae energia dal suo impegno di volontariato nella parrocchia e tante volte ascolta le confidenze di Eleonora che gli confida i suoi stati d’animo, le speranze, le delusioni, i sogni.
«Mia moglie ha trovato in me un amico e tale cerco di essere mettendo a tacere ogni diritto o speranza. Il passato è inesorabilmente passato. Mi sono chiesto mille volte da dove mi venga la forza per non mollare. In paese la gente mi guarda come uno stupido, uno zimbello nelle mani di una donna capricciosa e volubile. Quanto amore c’era tra noi! Lei, che sa parlare, sosteneva che l’arte è come l’amore: sa creare dal nulla bellezze mai viste. Così vivevamo il nostro sogno, convinti che, pur avendo origini diverse, l’amore nostro era capace di creare dimensioni nuove, originali.
«Passano gli anni e vedi che l’amore è una bestia selvatica: se non lo alimenti, se non lo addomestichi si ritorce contro di te e ti calpesta. Sei più povero di prima perché non sai più sognare, non hai nessuna leva per far alzare una speranza. Gli amici mi suggeriscono di rifarmi una vita. Le occasioni non mi mancano».
La cena preparata da Clara è raffinata. C’è aria di festa con tutta la vivacità della gioventù di Clara e la complicità di Ruggero, due tipi pieni di voglia di vivere. Eleonora mi guarda per cercare di capire cosa io sappia delle loro peripezie.
Quando, dopo cena, nell’atelier riusciamo a essere soli, lei mi confida: «Ti sembrerà strano, ma oggi la mia vena creativa è Gianluca. L’ho amato per la sua bellezza, ma l’ho ritrovato come amico. È uno che ormai non chiede nulla per sé. È un mistero impenetrabile e amabile. Vive come se fosse morto. No, non fa compassione. Tutt’altro. Questa sua indefinibile purezza è una cosa che non mi lascia in pace, mi fa da specchio. È un modello tremendo e affascinante, un punto da raggiungere».
Tornando a casa, mentre si allontanano le luci del villaggio, mi rendo conto che non ho mai visto un pezzo d’arte così bello. Tanta perfezione uestQmi m fa pensare ai santi e mi commuove.