Mia madre, la mia bambina

Tra i numerosi libri di Tahar Ben Jelloun, scrittore marocchino nativo di Fès ma dal 1971 residente in Francia dove ha raggiunto un successo condiviso anche in Italia, l’ultimo è il più personale e certamente il più sentito. Come dice lo stesso titolo, tradotto da Einaudi con Mia madre, la mia bambina (ma nell’originale è semplicemente Yemma, mamma), è dedicato alla figura della madre Lalla Fatma, reclusa nella sua casa di Tangeri a causa di una terribile malattia che, prima di condurla alla tomba, ne ha devastato il corpo e l’intelligenza: l’Alzheimer. Il libro, più diario letterario che romanzo, documenta gli strazianti incontri dell’autore con questa donna nella cui testa tutto ormai si confonde, che dal suo letto rivisita gli anni della giovinezza a Fès, rivive i suoi tre matrimoni, riceve al capezzale il padre morto di Tahar, fa morire e risuscita i propri figli, affidata alle cure di due domestiche di cui di volta in volta elogia la dedizione e lamenta l’avidità… Impotente a mettere ordine nel caos dei deliri materni, il prediletto Tahar può solo raccoglierne le reminiscenze stralunate e ricomporle in un racconto lucido e pacato, a tratti poetico, ultimo ten- tativo di restituire dignità a colei che l’ha messo al mondo e dirle il suo amore. Il lettore viene coinvolto emotivamente nel flusso di questo dramma familiare – che richiama esperienze personali analoghe o future, giacché la decadenza fisica riguarda tutti – anche dal modo insolito con cui l’autore trascrive i suoi colloqui con la madre, senza precisare nel testo – pur essendo distinguibile – ciò che è di lei e ciò che è proprio: quasi a sigillare in tal modo l’unione spirituale che malgrado tutto permane tra entrambi. Paradossalmente, in tanto sfacelo che potrebbe portare alla disperazione, a confortare l’impotente Tahar è la stessa Lalla Fatma, che nei momenti lucidità professa la sua profonda fede in Dio che un giorno rimetterà a posto tutto – memoria, affetti e persone – e al tempo stesso dichiara il suo amore viscerale verso i propri figli: qualcosa che neppure l’Alzheimer riesce a distruggere. POI TI BENEDIRÒ… annoia parla del suo funerale; questo la tiene occupata, la rassicura; insiste soprattutto sui particolari della cerimonia, ne fa una questione di eleganza e di dignità, bisogna andarsene con leggerezza, evitare di pesare sulla famiglia creandole dei problemi, lasciare un buon ricordo, una bella impressione. È convinta che la morte sia logica, o più precisamente si augura che lo sia: non mi rimane molto da vivere, è normale, la morte è un diritto, purché non si sbagli e si porti via uno dei miei figli, una disgrazia che non sopporterei un solo istante, che Dio mi chiami a sé con voi ancora in vita e non il contrario… insomma, io me lo auguro, e prego continuamente perché vada così, ma chissà quali sono le intenzioni di Dio, nessuno oserà indovinarle, comunque non io, mio padre mi ha insegnato a non pensare mai a Dio se non pregando, ho sempre pregato, il problema è che oggi non ho fatto le abluzioni, non posso più pregare tanto come prima. Faccio le abluzioni con la pietra levigata, sai la pietra nera, ma dov’è? L’ho persa di nuovo, aiutami a cercarla, guarda sotto le lenzuola, a volte scivola sotto la coperta e cade dall’altra parte del letto, ah! quella pietra sacra sostituisce l’acqua, basta passarsela sulle braccia e sulle mani, è come lavarsi, allora, l’hai trovata? È stata sicuramente Keltoum a metterla via, va’ a sapere dove! Tua sorella è tornata a casa sua, qui si annoia, dice che la nostra televisione non ha dei buoni programmi, in realtà è ripartita perché non va d’accordo con Keltoum, quelle due litigano spesso e io mi ritrovo in mezzo, osservo senza dire niente, perché se prendo le parti di Keltoum mia figlia me ne vorrà e se do ragione a mia figlia Keltoum mi abbandonerà, ti rendi conto che problema, allora, questa pietra, l’hai trovata? Vedi, non ho perso la memoria, ma con l’età tornano i vecchi ricordi, ieri per esempio ho visto mia madre, è molto elegante, mi ha detto che non prende più medicine perché il profeta l’ha guarita, fortunata lei, tu, per esempio, sei il mio fratellastro, sei morto d’estate, da tua figlia, mentre passavi le vacanze nella sua casa sulla spiaggia, rassicurati, sei vivo, io ti parlo e tu guardi da un’altra parte… Lo so, mi stai per dire che sei mio figlio, il mio ultimo nato, che ti confondo con qualcun altro, ma non è grave, quello che conta è passare il tempo! Piove; non mi piace la pioggia; non mi piace il vento; non mi piace il freddo; non so che cosa fare, parlo troppo, è così, marito mio, sono una chiacchierona, adesso la smetto, mi ritiro in preghiera, poi ti benedirò, tu e i tuoi fratelli. (Da Mia madre, la mia bambina, Einaudi)

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