Mi vuoi bene?
Amare o essere amici: meglio avere le idee chiare. Un racconto...
«Cari fratelli e sorelle – disse il papa, che Vittorio Lauria stava guardando in televisione mentre il vecchio pontefice celebrava la messa della terza domenica di Pasqua –, ho molto desiderato incontrarvi numerosi in questa inusuale occasione, parlandovi qui dal sagrato di San Pietro, perché mi sento giungere al termine della missione affidatami dal Signore, e vorrei lasciarvi una parola che mi preme il cuore e la mente; una parola contenuta e quasi sviluppata nel Vangelo di oggi.
«Il Signore risorto incontra gli apostoli che pescano inutilmente nel lago di Tiberiade, procura loro una pesca miracolosa, mangia con loro e infine dialoga con Pietro, scegliendolo come suo vicario in terra: “Pietro, mi ami tu più di costoro?”; “Signore, lo sai che ti amo”; “Pasci i miei agnelli”. Tutti ricorderete questo meraviglioso passo. Ma c’è un particolare da capire bene.
«Noi abbiamo i Vangeli scritti in greco e poi tradotti in latino. In greco “amare” si dice con tre verbi diversi, di cui qui ce ne interessano due: uno, agapò, significa voler bene, amare totalmente nel senso più forte e vero della parola. L’altro, filò, è più contenuto, discreto, ma anche meno forte, e significa “essere amico”.
«Come sapete, il Signore chiede per tre volte a Pietro se lo ama, tanto che la terza volta Pietro si turba, anzi è detto che “rimane addolorato”. Ebbene, la prima e la seconda volta che glielo chiede Gesù usa il verbo agapò, gli chiede se lo ama totalmente, senza limiti e riserve, cioè se gli vuole bene, e poiché Pietro, rispondendogli, usa entrambe le volte il verbo filò, cioè “ti sono amico”, la terza volta anche Gesù usa, e verrebbe da dire si accontenta di usare il verbo filò, chiedendo: “Mi sei amico?”.
«A rifletterci viene da piangere. Io ti chiedo due volte se mi ami e tu due volte mi rispondi che mi sei amico. Quando, la terza volta, mi adatto alla tua cauta espressione tu rimani persino addolorato che ti abbia posto la domanda per la terza volta, e mi rispondi quasi offeso: “Tu sai tutto, lo sai che ti sono amico”.
«Ecco – continuò il papa nei panni di Cristo – io vado in croce per amore e tu ti offendi se ti chiedo amore, e parli di amicizia quasi facendomi abbassare le pretese e mostrandoti sconcertato perché ancora te lo chiedo.
«Ecco – concluse il papa guardandosi tutt’intorno – io sono Pietro. C’è differenza tra amare ed essere amico. Io su questa differenza faccio ogni sera il mio esame di coscienza». Poi si voltò e continuò a fatica la celebrazione.
Vittorio credeva di non aver capito bene e rimuginò a lungo quelle parole. All’ora di pranzo rientrò la figlia Marina, raggiante: «Oggi, papà, ti presento Ivan: si è deciso a conoscervi».
Quando venne Ivan, un bel ragazzo, laureato e con qualche possibilità di lavoro almeno per cominciare, Vittorio gli strinse la mano e gli disse: «Io mi chiamo Vittorio Lauria, e non sono mai riuscito a prendere la laurea – risero tutti –, ma una bella figlia te l’ho fatta. Ora, caro Ivan, non ti chiedo niente perché l’amore è affare vostro. Però una sola domanda al padre la devi concedere, sulla luce dei suoi occhi; poi non vi chiederò più nulla: le sei solo amico per un po’ di tempo o le vuoi bene, cioè la ami? Perché, sai, tutti parlano di amore ma quasi nessuno sa che cos’è».