Mettiamo fine a una confusione
Se io dico: «Credo in Dio», devo stare ben attento non a ciò che dico ma a ciò che significo. Se penso solo alla sua esistenza, sbaglio, come sbaglia chi dice: «Io non credo in Dio».
Infatti la questione della sua esistenza come causa di tutte le cose non è di pertinenza della fede o non fede, ma della ragione saggiamente usata. Oggi manca terribilmente questa filosofia elementare e fondamentale (non certo la filosofia astrusa e inutile di chi ha detto tutto e il contrario di tutto).
Senza fare nomi, ecco la prova più semplice e razionale dell’esistenza di Dio causa di tutte le cose: qualcosa è prodotto – una, tutte le cose, il Big bang –, ma non da sé (per essere causa di sé dovrebbe esistere prima di esistere!), né da nulla, perché il nulla non produce nulla. Dunque, da altro, e si può ben scrivere: Altro.
Allora cosa dico quando dico: «Io credo in Dio…. e in Gesù Cristo… ecc.?». Dico il Credo. “Credo” significa: “mi affido”, “ho fede”. E qui si apre tutto lo spazio di libertà di ciascuno per accogliere o rifiutare Dio. Qui comincia la fede, cioè il cammino con Dio, il suo con me, con noi. O il cammino senza Dio. Il resto, tra confusioni e polemiche inutili, è chiacchiera, hevel havalim, vanità di vanità.
A questo punto, e solo a questo punto, il credente può distinguere e unire ciò che sa e ciò che crede, il non credente distinguere e dividere ciò che sa e ciò che non crede.
Un bambino di sette anni mi diede un grande insegnamento chiedendomi: «Chi sono gli atei?». «Quelli che non credono in Dio», gli risposi. Replicò: «E come fanno a credere in sé stessi?». Un anno dopo liberamente esternò: «Dio ci ha creati per salvarci dal nulla». Propongo la laurea honoris causa.