«Mettersi assieme per favorire lo sviluppo»

Il nuovo vescovo di Locri parla delle sfide della sua diocesi: criminalità, povertà endemica del territorio, disoccupazione, giovani senza futuro, emigrazione, denatalità, invecchiamento della popolazione, ma anche esperienze pilota in campo cooperativistico e comunale
Mons. Oliva

Nell’arcivescovado di Locri sono ancora presenti gli stemmi, i quadri, le decorazioni dei vescovi che lo hanno preceduto. Monsignor Francesco Oliva è da sette mesi il nuovo vescovo della diocesi. Ci accoglie con il suo fare affabile, mansueto. Cerca le parole con calma ed è, sebbene sia a Locri da poco tempo, molto lucido nell’esaminare questioni e problematiche del territorio. È originario di Avena di Papasidero, nella provincia di Cosenza, esperto canonista, è stato Vicario generale della diocesi di Cassano all’Jonio, dove era vescovo monsignor Galantino, ora Segretario generale della Cei. Non si aspettava questo incarico perché pochi mesi prima monsignor Oliva era stato nominato presidente del Tribunale ecclesiastico regionale calabro.

Ci sono molti pregiudizi sulla Locride. Che realtà ha trovato?

 «Pur sapendo quanto si scriveva e si diceva sulla Locride non mi sono lasciato irretire da un pregiudizio del genere. Non si può negare la presenza della criminalità ma non si può fare della Locride una categoria generale a carattere ‘ndranghetistico. Non si può identificare un’area geografica con un fenomeno che ha radici in problemi di carattere sociale: la povertà endemica del territorio, un’alta percentuale di disoccupazione, dei giovani senza futuro, l’emigrazione».

Perché è un territorio povero?

«È un’area molto marginale, difficile da raggiungere. La ferrovia è stata depotenziata, l’autostrada interessa solo la fascia tirrenica. Chi vuole venire, deve farlo di proposito. Stilo, Bivongi, Roccella Ionica, Gerace sono tra i borghi più belli d’Italia. Il mare è incontaminato per cui sarebbe l’ideale per trascorrere le vacanze, ma per tutti questi motivi, resta una terra di passaggio e non è scelta».

Che conseguenze porta una fama così negativa?

«Pregiudica lo sviluppo di una zona caratterizzata da un crescente impoverimento materiale e culturale. I giovani, una volta raggiunta l’università, non rientrano più impoverendo il territorio sul piano culturale. Il tasso di denatalità cresce così come l’invecchiamento della popolazione. La criminalità diventa, purtroppo, un’opportunità di lavoro. È un sistema che favorisce l’illegalità che cresce ancora di più in una zona depressa impedendo lo sviluppo del territorio che di per sé avrebbe le risorse per poter decollare».

In questo contesto la fede è ancora percepita come una risorsa?

«Ho trovato un popolo semplice, laborioso, che ha sempre lottato contro le condizioni sfavorevoli e ha sempre cercato di progredire anche attraverso le migrazioni. Non hanno perso la speranza, sostenuti dalla fede, che è di stampo tradizionale, ma molto radicata. È una fede salda che ha una forte dimensione mariana coltivata anche attraverso le immagini, le edicole, le statue di importanti scultori».

Nel territorio ci sono anche iniziative positive come il gruppo di cooperative del Goel, che ne pensa?

«Lo sviluppo della nostra area è possibile solo nel contesto di una seria lotta seria alla criminalità. Quella di un sistema cooperativistico sano è una bella intuizione perché combatte la malavita organizzata offrendo opportunità di lavoro riuscendo ad inserire in un sistema commerciale produttivo italiano prodotti della nostra terra che altrimenti non sarebbero valorizzati. Inoltre mette insieme le persone oneste in rete contro un sistema di illegalità e immoralità che blocca lo sviluppo di quest’area. Bisogna partire dalle periferie per un decollo più ampio, poi, a livello nazionale».

Cosa si augura per la sua nuova diocesi?

«Che si guardi in avanti, che non si pianga sui problemi che pur ci sono. Che si parta dalle situazioni di emergenza per coalizzare le forze. Sogno un Paese dove la fede possa essere la base da cui partire per guardare con fiducia al proprio futuro e non lasciarsi sconfiggere dalla rassegnazione, dall’aria di disfattismo. Bisogna valorizzare le risorse di intelligenza e rimboccarsi le maniche come hanno fatto tante generazioni che ci hanno preceduto. Mi auguro una maggiore coesione e unità a livello amministrativo per superare i campanilismi come stanno facendo i comuni della valle del Torbido: Gioiosa Ionica, San Giovanni di Gerace, Grotteria, Mammola diventeranno un unico comune. Non c’è altra via che il mettersi assieme per favorire lo sviluppo».

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