Mestre, una città per Giacomo
La notizia, di per sé, è una di quelle che gridano vendetta: a tarda sera, vicino alla stazione di Mestre, due giovani vengono accoltellati da un rapinatore per aver cercato di difendere la donna contro cui si era avventato. Uno, Sebastiano, rimane solo ferito; ma l’altro, il 26enne Giacomo Gobbato, muore poco dopo in ospedale. Il rapinatore – che molti sottolineano essere “di origine straniera” – viene fermato di lì a breve.
Vendetta, già: come non chiederla a fronte di un uomo che uccide così, per di più immigrato – perché si sa che nel sentire comune la violenza non ha colore né nazionalità, ma chi la perpetra sì -, in una città che già da tempo si confronta con problemi sociali e fatica a scrollarsi di dosso l’etichetta di “periferia di Venezia”?
Eppure questa volta le reazioni sono state diverse. Innanzitutto da parte degli altri ragazzi coinvolti: Sebastiano ha dichiarato a più riprese e a diversi media che lui, e sicuramente anche Giacomo, non ci avrebbero pensato due volte a rifarlo, se fosse stato necessario, e di non volere vendetta ma giustizia. Una giustizia intesa in senso lato, si può dire sociale, per la città intera, come ha spiegato in una nota il centro sociale Rivolta che Giacomo frequentava: «Questa notte due nostri compagni sono stati accoltellati mentre difendevano una donna che stava subendo una rapina. Uno ha riportato gravi ferite ed uno ha perso la vita. Questo per noi è il tempo del dolore. Troppo dolore, un dolore che toglie le parole. Quello che pensiamo, tutto quello che proviamo, troveremo il modo di dirlo. A breve. Ora diciamo solo che esigiamo di non essere usati e usate da chi semina odio. C’è un colpevole. È una persona, una singola. Non importa dove sia nato o di che colore abbia la pelle. E tutto questo succede in una città abbandonata da anni a se stessa. Non accettiamo strumentalizzazioni. E non le accettiamo per Giacomo che sarà sempre con tutte e tutti noi e per Sebastiano che è con il cuore a pezzi. A Giacomo, che nella sua giovane vita ha sempre lottato per una società inclusiva, multiculturale, antirazzista lo dobbiamo».
Parole simili sono state usate per convocare per il 28 settembre un corteo in suo ricordo: «Questa tragedia non è una fatalità, ma il risultato di una città, Venezia, abbandonata a sé stessa, con quartieri senza presidi sociali. E i diretti responsabili sono indicati nell’amministrazione della città, in particolare nel sindaco Brugnaro e la sua giunta, indagato insieme ad assessore e dirigenti per aver privilegiato interessi privati a scapito del benessere pubblico. Negli anni, il welfare cittadino è stato smantellato, con tagli ai servizi sociali e alla prevenzione delle dipendenze, lasciando ampie aree urbane in stato di abbandono. Le politiche dell’amministrazione, concentrate su interventi temporanei e operazioni ad effetto, hanno fallito nel garantire sicurezza e inclusione, favorendo invece la marginalizzazione di molti cittadini, in particolare quelli in difficoltà. Due anni fa, migliaia di persone hanno marciato a Mestre chiedendo una città sicura, un welfare potenziato e la riqualificazione delle aree degradate. Tuttavia, l’amministrazione ha proseguito sulla stessa strada, ignorando la necessità di investimenti nei servizi e di una politica sociale inclusiva, confondendo spesso i problemi sociali in problemi di sicurezza. Non si può ignorare l’esercito di “invisibili” nelle nostre strade, la disperazione di chi non ha nulla e quindi nulla da perdere, ma bisogna intercettarli con servizi sul territorio prima che si trasformano in problemi di ordine pubblico. Si denuncia il degrado urbano per la mancanza di politiche sociali e l’inefficacia delle misure repressive adottate. […] La nostra città ha bisogno di un cambiamento radicale: investimenti nei servizi sociali, attenzione alle dipendenze, riqualificazione urbana partecipata, tutela della salute pubblica grazie ad un ambiente migliore, viabilità sicura per evitare che altri bus precipitino e una vera inclusione sociale con particolare attenzione agli ultimi della società».
E al corteo hanno infatti partecipato migliaia di persone, allo slogan di «Jack è vivo e lotta insieme a noi», «Per Jack, per noi, per tutti: riprendiamoci la città», e «La città è di chi la vive, non di chi la svende» – con evidente riferimento alle vicende giudiziarie che hanno coinvolto il sindaco Brugnaro. Parole forti anche da parte della madre di Giacomo, presente alla manifestazione: «A un’amica che mi ha chiesto come faccio a sopportare questo dolore ho detto che ognuna delle persone che è qua ha un pezzettino del mio dolore ed è il modo in cui riesco a sorridere ancora pensando a mio figlio».
Il corteo è stato quasi un’anticipazione dei funerali, altrettanto affollati e scanditi da dagli stessi slogan all’arrivo del feretro, che si sono tenuti due giorni dopo a Jesolo, la cittadina in provincia di Venezia dove Giacomo risiedeva. A celebrare è stato il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, che nella sua omelia ha ricordato come «solo chi sa donarsi totalmente, sapendo anche rischiare tutto, dà senso alla sua vita. Giacomo con risposta immediata, di primo acchito, ha deciso che dinnanzi a una violenza, a una richiesta d’aiuto, non ci si deve voltare dall’altra parte. I nostri gesti dicono chi noi siamo, dicono i nostri valori. Di fronte a un’ingiustizia, alle grida di chi stava soccombendo, ha risposto. Ci sono dei gesti che sono il sigillo di tutta un’esistenza. Questo è un gesto che rimarrà, perché coincide con il suo morire. Di fronte alla grida d’aiuto di una donna non ha chiuso gli occhi. La sua è stata una scelta profondamente umana, plasmata da verità e giustizia. La nostra società ha bisogno di questo, di questo coraggio e di questo amore».
«È difficile pensare di dire parole in questa situazione, a questa età, non avrei mai pensato di trovarmi qui – ha affermato il fratello minore di Giacomo, Tommaso, prendendo la parola -. E non c’è molto da dire, posso solo ringraziare a nome di tutta la mia famiglia tutti quanti voi, che ci avete dato sostegno e supporto in questi giorni terribili. Che Jack viva ancora, che viva la sua memoria, le sue idee».
I funerali sono stati anche occasione per una risposta accorata da parte dell’amministrazione comunale, che ha dichiarato lutto cittadino per il giorno dei funerali ed era presente tramite l’assessora Elisabetta Pesce: «Ho letto tante provocazioni sull’attività del Comune – ha dichiarato – ma non voglio replicare alle strumentalizzazioni. Oggi è il momento del cordoglio e del lutto cittadino, con tutte le bandiere a mezz’asta».
Alle esequie era presente anche lo storico leader dei centri sociali, Luca Casarini, aveva conosciuto Giacomo e nei giorni precedenti gli aveva scritto una densa lettera aperta: «E tu oggi, che dono che ci lasci. Che messaggio eterno, capace di sconfiggere la morte. Non ti sei girato dall’altra parte. Siete andati, tu e Sebino, in soccorso verso qualcuno che chiedeva aiuto. Era rischioso. Ma l’avete fatto. Avete sempre detto “riprendiamoci la città”, e l’avete fatto, impedendo che rimanesse solo uno slogan. Ti battevi perché la “sicurezza” fosse una forma di vita solidale tra le persone, e non uno stato di polizia. E l’hai fatto, l’avete praticata questa forma di vita. Lottavi per gli ultimi, e hai saputo riconoscere chi era ultimo in quel momento, perché non contano i cliché e le ideologie, le classificazioni e le teorie, ma le persone, qui ed ora. Che dono che ci lasci, Jack. Che lezione di vita che mi dai, e che meraviglioso amore hai seminato tra i tuoi fratelli e sorelle. “Non trasformerete un atto d’amore in una occasione per spargere odio”, scrivono quei nostri figli e figlie che sono la tua famiglia, la tua comunità. E io mi inchino, Jack, da vecchio che impara da te, da voi. Che senza generosità verso gli altri, non vi è rivoluzione possibile».