Messico-USA: continua il calvario dei migranti

Finito il Covid, sono cessate anche le restrizioni alla migrazione. Ma questo non offre migliori possibilità alle decine di migliaia di persone, provenienti da tutto il Sud e Centro-America, e dal Messico, che premono per entrare negli Stati Uniti. Al confine fra Messico e Usa, ma anche a Città del Messico, sempre più migranti dormono per strada.
Migranti al confine tra Messico e Usa (AP Photo/Gregory Bull)

Si aspettavano maggiori possibilità di entrare negli Stati Uniti. A mezzanotte dell’11 maggio scadeva il “Titolo 42”, la norma dell’amministrazione Trump che per motivi sanitari (la pandemia di Covid) limitava fortemente l’immigrazione – e che aveva permesso l’espulsione di oltre 2,8 milioni di migranti negli ultimi tre anni –.

A causa della disinformazione fomentata dalle mafie del “contrabbando di persone”, per tanti messicani, centro e sudamericani ed haitiani questo significava una sorta di “apertura di frontiere”. Ma “la frontiera non è aperta”, insiste il Segretario Usa alla Sicurezza Interna.

Le nuove regole, in realtà, complicano la vita alle decine di migliaia di persone che fuggono da situazioni insostenibili nei Paesi a sud del Rio Grande/Rio Bravo. E così, l’invasione temuta dai repubblicani non c’è stata, anzi gli arresti per ingresso irregolare sono scesi dagli 11 mila dei giorni precedenti il 12 maggio a una media di 4 mila al giorno. Non si tratta però di un’inversione di tendenza: i migranti non hanno attraversato la frontiera ma non sono neppure tornati a casa. Sono ancora lì, e sarebbero tra 120 e 150 mila.

La settimana scorsa, alcuni colombiani che sono stati espulsi, incatenati “per motivi di sicurezza”, hanno denunciato attraverso Bbc Mundotrattamenti disumani” da parte degli agenti migratori statunitensi e la totale assenza della possibilità di esporre la loro situazione e di chiedere asilo.

Migranti al confine tra Messico e Usa (AP Photo/Fernando Llano, File)

Così cresce l’emergenza in Messico: i rifugi per migranti sono saturi, aumentano le persone che dormono per la strada e i sequestri di persona, e nella stessa capitale messicana molti tornano ad accamparsi in spazi pubblici. Per decongestionare le città di frontiera, le autorità trasferiscono i migranti in pullman, a centinaia per volta, verso centri per la regolarizzazione di richiedenti asilo situati in altri stati. Allo stesso tempo, si è praticamente chiusa la frontiera con il Guatemala, fra le proteste di Amnesty International e delle organizzazioni di sostegno a migranti e richiedenti asilo.

La situazione è davvero complessa. Il ritorno in vigore del Titolo 8 stabilisce la deportazione e la proibizione di ingresso per almeno cinque anni per chi entra negli Stati Uniti illegalmente, e l’impossibilità di asilo per chi non l’ha richiesto prima di giungere al confine e per chi non può dimostrare di averlo chiesto prima ad un Paese terzo, salvo che lo faccia attraverso l’apposita app Cbp One e spieghi poi, in maniera convincente durante l’udienza successiva, perché non l’ha fatto. In caso di reiterazione di immigrazione illegale è poi previsto un processo penale, con il rischio del carcere.

L’intenzione è quella di offrire un modo “sicuro, umano e ordinato di arrivo negli Stati Uniti”, come ha affermato il Segretario alla Sicurezza Interna, Alejandro Mayorkas. Inoltre, si è annunciato l’ampliamento a 30 mila permessi di soggiorno mensili complessivi per cittadini di Venezuela, Cuba, Nicaragua ed Haiti; e l’ampliamento dei ricongiungimenti familiari anche a cittadini di Colombia, Salvador, Guatemala e Honduras e per minorenni non accompagnati di qualsiasi nazionalità.

Grazie ad accordi internazionali, il governo Biden aprirà centri per richiedenti asilo anche all’estero (Colombia e Guatemala) e si impegna a stanziare fondi per combattere la disinformazione e il “contrabbando di persone”.

Piovono però le critiche dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani, e da quelle di aiuto ai migranti, che denunciano diversi ostacoli pratici e illegalità concettuali. La app Cbp One limita a mille le richieste giornaliere di appuntamento, e permette di effettuare l’operazione solo dagli stati del sud e del centro del Messico.

Rimane la possibilità di richiedere l’appuntamento per via telefonica, ma in quel caso occorre spiegare i motivi della richiesta, del perché tornare nel proprio Paese rappresenti un grave pericolo e perché non si è chiesto asilo in Messico. Tutto ciò viola il diritto internazionalmente riconosciuto ad entrare in un Paese e sollecitarne la protezione in caso di pericolo.

Se si ottiene l’appuntamento, la prima tappa è un colloquio nel quale si espone il “timore credibile di persecuzione o tortura” in caso di ritorno nel Paese di origine. Sono oltre 11 mila le deportazioni attuate nella prima settimana dopo la fine del Titolo 42.

Migranti al confine tra Messico e Usa (AP Photo/Marco Ugarte)

In seguito agli accordi Usa-Messico del novembre scorso, il governo di José Manuel López Obrador ha smesso di concedere permessi di transito a chi si dirige verso gli Stati Uniti, ed ha accettato di ricevere i migranti rifiutati dagli Usa se provenienti da Cuba, Haiti, Nicaragua e Venezuela. È la prima volta che si deportano in Messico cittadini non messicani.

Cosa succederà adesso? Gli esperti temono una crisi severa. López Obrador ha promesso un approccio umano, ma i permessi di soggiorno per motivi umanitari che aveva annunciato si concedono con il contagocce e in casi particolarmente “mediatici”, come le 48 persone rapite e poi liberate da un’organizzazione criminale.

È vero che negli ultimi anni ci sono state meno espulsioni – dal 94 % degli arrestati alla frontiera tra il 2011 e il 2018 al 24 % del 2022 – ma non è certo che si manterrà questa tendenza, insieme a quella di una maggiore accoglienza di rifugiati.

Allo stesso modo, come ha ricordato a Deutsche Welle l’esperto di migrazione Messico-Usa Eduardo Torre, durante il governo attuale «si sono riconosciuti in modo crescente i diritti di un maggior numero di rifugiati e si è venuti incontro a chi sollecita protezione internazionale in Messico». Da qui ad un’effettiva integrazione, però, la strada è ancora lunga. Mentre l’urgenza preme.

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