Messico, il perdono e gli errori della storia
Più che giudicata, la storia va compresa e, soprattutto, va analizzata alla luce di documenti credibili e di ricerche serie. Altrimenti il rischio è quello di restare invischiati nei luoghi comuni e nei miti, ma senza comprenderne i processi.
Le lettere inviate dal presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, al re di Spagna, Filippo VI e a papa Francesco corrono tali rischi.
Il presidente messicano ha invitato infatti il re spagnolo a chiedere perdono ai popoli indigeni per gli abusi e «per la violazione di ciò che oggi sono riconosciuti come diritti umani» durante la «conquista» del suo Paese.
La missiva è partita mentre López Obrador era in visita allo stato di Tabasco, nel sud, dove si è commemorato i 500 anni della battaglia di Centla, nella quale il popolo chontal venne sconfitto da poche centinaia di soldati spagnoli, condotti da Hernán Cortés. Nel 2021 saranno celebrati tre anniversari: i 700 anni della fondazione di Tenochtitlan, l’attuale Città del Messico, i 500 anni della sua caduta in mani spagnole e i 200 anni dell’indipendenza messicana.
La lettera del presidente ha destato stupore, anche in ambienti accademici. Il perché è comprensibile: giudicare la storia con il metro attuale è alquanto impervio come esercizio. La comprensione che si aveva della persona umana 500 anni or sono, oggi non è la stessa.
Dovemmo attendere fino al 1764 per vedere l’apparizione della celebre opera del Beccaria (Dei delitti e delle pene), che denunciò la tortura. Appartengono alla seconda metà di quello stesso secolo le prime dichiarazioni sui diritti dell’uomo, poi riconosciute universalmente solo dopo il Secondo conflitto mondiale.
Tra l’altro, la lettera inviata al papa ignora le ripetute richieste di perdono per tutti gli errori del passato formulate da Giovanni Paolo II, allargate alla colonizzazione dell’America Latina da Benedetto XVI e dallo stesso papa Francesco. Nel corso del suo viaggio in Bolivia, Bergoglio chiese ad esempio perdono per i crimini commessi contro le popolazioni indigene durante la “conquista”.
Inoltre, sebbene oggi sia inaccettabile la conquista militare per ampliare le frontiere, tale metodo era comune nei secoli passati. Se non lo si tiene presente, finiremo per esigere al presidente Macron le scuse per le conquiste napoleoniche e qualcuno in Italia dovrà chiedere scusa per quelle di Giulio Cesare.
Un altro argomento di gran peso è costituito dalla realtà dei fatti, spesso conosciuti attraverso fonti non attendibili. Queste spesso ignorano che la conquista messicana avvenne, come nel resto dell’America Latina, grazie alle alleanze con popoli indigeni, fino a quel momento sottomessi da altri popoli locali.
Senza tale aiuto, sarebbe stato impossibile per alcune centinaia di europei una così estesa conquista. Tra coloro che lo sottolineano, c’è Antonio Rubial Garcí, uno dei maggiori esperti nella storia della “conquista” in generale e di quella messicana in particolare. Rubial García insiste, poi, che sia un mito parlare in termini di «conquista spagnola», dato che non venne inviato un esercito, ma concesso a degli avventurieri di realizzare spedizioni in questi territori.
In quanto alla nazionalità dei conquistatori, segnala lo storico, c’erano sì spagnoli, ma anche greci, italiani… e «negri». Cioè, schiavi che viaggiavano con i loro padroni. Fu loro opera la conquista di alcune località messicane.
Non è allora un caso che in ambienti accademici la missiva di López Obrador sia stata interpretata in termini di un nazionalismo invecchiato e poco aggiornato. Certo, non possiamo non condannare episodi come la Shoah o il genocidio armeno, avvenuti in tempi in cui potevano e dovevano essere evitati, ma stabilire responsabilità attuali su fatti avvenuti a grande distanza di tempo è alquanto ingiusto.
Più che a levare indici accusatori, la storia dovrebbe indurci a apprendere le sue lezioni e a non ripetere gli errori del passato.