Messico in musica
Partito da Madrid ho ben tredici ore di volo per rimuovere gli stereotipi che involontariamente si sono sedimentati nel profondo della memoria, alimentati da vecchi film americani, dai fumetti di Tex, dalla lettura dei romanzi. Basta pronunciare la parola Messico ed ecco riemergono da chissà dove i villaggi con i campesinos vestiti di bianco e i cappelli dalle grandi falde, la musica appassionata, le rivoluzioni con Zorro, eroe di fantasia, Pancho Villa e Zapata, eroi storici ma non meno mitizzati, le terre aride con i cactus… È il mio primo viaggio in Messico, per questo, a maggior ragione, devo fare piazza pulita degli odiosi luoghi comuni per poter accogliere la straordinaria ricchezza di questa nazione con le sue civiltà millenarie e numerosi popoli. L’esercizio per l’eliminazione dei cliché mi risulta facile, basta che pensi ai tanti messicani e messicane che conosco, persone vere, amabilissime e lontanissime dai quelle convenzionali. Non faccio in tempo a scendere dall’aereo che sono preso in contropiede: la prima cosa che percepisco è il fischiettare degli impiegati! Ho girato il mondo, ma da nessun’altra parte mi è capitato di sentire canterellare con tanta naturalezza. A Manila c’è sempre un’orchestrina che ti accoglie, ma è messa lì dal governo per dare il benvenuto agli stranieri. Questi invece fischiettano in modo spontaneo, senza essere pagati. Estromesso dalla porta, rientra dalla finestra un insospettato Messico vivace, colorito, musicale. Le prime melodie dell’aeroporto mi seguiranno in mille modulazioni diverse lungo tutto il mio breve viaggio. Guadalupe La prima variazione musicale l’ascolto al santuario della Madonna di Guadalupe. Sono appena sbarcato dall’aereo e il mio orologio segna la mezzanotte, ma qui siamo ancora in pieno pomeriggio. Vero che vuoi andare subito a trovare la Morenita?, mi propone convinto Felipe venuto a prelevarmi. È proprio vicino all’aeroporto , soggiunge per giustificarsi, vedendomi un po’ perplesso per la stanchezza del viaggio. Ha ragione, come si può entrare in Messico senza passare da colei attorno alla quale si è costruita la nazione messicana, e della cui identità è ormai parte costitutiva? Quando giungo sul grande piazzale del santuario non provo nessuna emozione particolare. Ho visto così tanti filmati su questo luogo, ne ho sentito raccontare la storia così tante volte, ho contemplato l’immagine della Vergine così a lungo che ho semplicemente l’impressione di tornare a casa, dalla mamma: niente di più semplice, eppure niente di più bello. Nuova è invece l’atmosfera che vi respiro. Prima ancora di entrare ecco giungere il pellegrinaggio dei dipendenti di un mercato, guidati dallo stendardo della Madonna ornato da ghirlande di fiori. Apre la processione un gruppo di indigeni con i costumi tradizionali che danzano e cantano accompagnati da pochi strumenti: inaspettata modulazione musicale. Alla messa sono attratto dalla ragazza che legge la prima lettura. La guardo, poi guardo il quadro della Madonna; guardo la Madonna e di nuovo la ragazza. Stupefacente la somiglianza tra le due: stesso colorito, stesso taglio degli occhi, del naso… Che siano sorelle? Adesso comprendo perché l’apparizione della Madonna a Juan Diego, nel 1531, abbia conquistato immediatamente gli indigeni, segnando l’inizio della conversione in massa. La Vergine era una di loro, una mamma simile alle altre mamme indigene, con i tratti somiglianti ad esse… e parlava la loro stessa lingua. Vedo le donne che avanzano in ginocchio verso il quadro della Madonna, le mani alzate, che mormo- rano preghiere e suppliche: un’altra musicalità dolce e sommessa. Vedo la fattucchiera che col basilico, acque benedette e incensi benedice con le sue cantilene e libera dal malocchio, dal mal di testa e da chissà quanti altri mali… Vedo accendere candele in precedenza purificate da santoni. Mi dicono che in chiesa ci sono massoni dichiaratamente anticlericali giunti in devoto pellegrinaggio… Croci e delizie della devozione popolare, capace di mischiare la pietà più genuina con i culti ancestrali in un sincretismo guadalupano difficilmente definibile. Che ci possiamo fare, la mamma è sempre la mamma, ed accoglie tutti come si presentano… E loro accolgono lei! La ritrovo nei luoghi più impensati. Parcheggio la macchina nelle grandi autorimesse della città e immancabilmente vi trovo vistosi altarini (altaroni, sarebbe meglio dire) con la sua effigie inghirlandata con fiori freschi e lumi. Entro nelle chiese della capitale e trovo folle in preghiera silenziosa, molti con i contrassegni vistosi delle più varie confraternite, avvolte dall’abbraccio di lei, che veglia dalle mille icone ovunque presenti. La ritrovo stampata sulle magliette indossate con disinvoltura, sui muri delle case… è onnipresente. Tenochtitlán I ritmi indigeni uditi nella piazza del santuario mi seguono lungo il viaggio, soprattutto nei luoghi di culto delle secolari civiltà preispaniche. Già la visita al Templo Mayor e all’annesso museo mi immerge in tempi lontani, quando Città del Messico era la Tenochtitlán degli aztechi, isola su un grande lago, il centro del mondo. Qui, come alle piramidi di Teotihuacán, mi vedo passare davanti popoli e culture che si sono succedu ti in 4 mila anni di storia: olmechi, maya, teotihuacani, toltechi, zapotechi… Gli scavi archeologici hanno messo nuovamente in luce le grandi strutture architettoniche, le opere d’arte scultoree e pittoriche, i manufatti… I 12 milioni di popolazione indigena, su 105 milioni di abitanti, mantengono viva nel Messico di oggi, l’eredità di quel glorioso passato. A Cholula, una piccola deliziosa cittadina, dove si erge quella che fu la più grande piramide del Mesoamerica, odo nuovamente le nenie degli indios ritmate dai tamburi. Il tempio che si trovava sulla sommità della piramide fu distrutto dagli spagnoli che vi edificarono un santuario dedicato alla Madonna della salute. Hernán Cortés, dopo aver ucciso tra i 3 mila e 6 mila indios, distrusse tutti i templi della città (ne avrebbe contato 400) e vi costruì, così almeno vuole la leggenda, 365 chiese, una per ogni santo dell’anno! Ma la profonda religiosità ancestrale non è stata sradicata. Giungo alla piramide nel giorno più propizio, il 21 marzo, solstizio di primavera. Il sole cade a perpendicolo con tutta la potenza della sua luce e del suo calore. Gruppi di persone le più varie, rigorosamente vestite di bianco, le braccia alzate, il volto rivolto al cielo, ne raccolgono i raggi per lasciarsi inondare dall’energia vitale che emana dall’astro. Raccolti davanti alle antiche steli e agli altari, o più semplicemente in radure ai piedi della piramide, cantano, danzano a passi lenti, pregano evocando i padri e proclamandosi fedeli alle tradizioni da loro tramandate. Sono canti pacati e lenti, ma dietro mi pare quasi d’udire le grida delle migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini che qui, come sulle altre alture, venivano immolati a divinità assetate di sangue: la morte era la via che assicurava la rinascita e la conti- nuità della vita. Non posso non ricordare che proprio oggi, solstizio di primavera, è il Venerdì santo, e penso al sacrificio di Gesù, un Dio che non esige vittime e sangue umano, ma che si offre lui stesso vittima e sparge lui stesso il proprio sangue. Il suo sacrificio ha abolito ogni altro sacrificio, la sua morte è la vera via alla vita più piena: ci dona la sua stessa vita divina. Cholula E proprio in questo giorno, Venerdì santo, odo un’altra musica tipicamente messicana, proprio qui a Cholula. Le strade sono rallegrate dai suonatori ambulanti di organetti, da una numerosa famiglia costituitasi in orchestrina per chiedere l’elemosina, dalla vivacità delle bancarelle. Come a Puebla o a Città del Messico mi colpisce la gentilezza della gente, la cordialità, l’aria di festa che si respira, la musica che tutto avvolge… Ma è entrando nella Cappella reale, a nove navate, adornata di rami e fiori, che vengo attratto da una originale musicalità: un brusio leggero e fresco di una moltitudine di gente seduta, composta, disinvolta come fosse a casa propria, che parla sommessamente. Ne guardo i volti belli e scuri di uomini, donne, giovani, bambini, anziani… Stanno vegliando la salma del Signore, come si fa quando c’è un defunto in casa. Adagiato su un tavolo, coperto con un panno rosso, giace un bel Cristo morto, da ognuno venerato e baciato con affetto. All’uscita mi offrono una palma intrecciata a forma di croce, un mazzolino di camomilla, un panino. Perché?, chiedo. Non mi sanno rispondere, poi accennano: Per tradizione, per benedizione…. Ma è la chiesa di Santa Maria a Tonantzintla, un villaggio poco distante da Cholula, ad offrirmi l’ultima struggente melodia. L’interno, dal pavimento fino su a tutto il soffitto, è interamente ornato da sculture policrome vivacissime con motivi vegetali e angeli quanti ce ne sono in paradiso! Un capolavoro dell’arte indigena. Una selva di palme e di fiori l’adornano a festa per la Settimana santa. Un canto, ininterrotto, s’innalza come nube d’incenso da un gruppo compatto di una dozzina di ragazze bellissime, i capelli sciolti e fluenti lungo le spalle, vestite in tuniche e mantelli di velluti violacei. Sembrano sorelle, s’assomigliano tutte. Insieme costituiscono l’icona vivente della Maddalena che piange il suo Signore. Lungo l’intera giornata, ininterrottamente, tra canti e preghiere ripercorrono il cammino di Gesù, la via crucis. A momenti una di loro si stacca dal gruppo e sale sull’altare dove è stato costruito un Calvario con Gesù in croce, Maria e Giuseppe. Lassù la Maddalena s’abbraccia stretta alla croce (ancora il Risorto non ha pronunciato il suo Noli me tangere!) e vi rimane immobile, come fosse un’altra statua. Si schioderà soltanto quando un’altra ragazza, a intervallo regolare ritmato dal suono di una tromba, ne prenderà il posto. Ora non mi rimane che iniziare l’intenso programma di lavoro che mi ha condotto in Messico. Entrerò nella realtà viva di questa Chiesa vivace e dinamica, incontrerò giovani, mi metterò in ascolto della problematica sociale, darò le mie conferenze… Ma il Messico che mi rimane nel cuore è quello della musicalità di mondi antichi e attuali, quello della Maddalena avvinghiata al suo Signore nel suo pianto e nel suo canto, quale abbraccio di un popolo intero.