Messico. Crisi politica dopo la strage

Inquietanti rivelazioni sulla fine dei 43 studenti messicani scomparsi. Sale la protesta contro la corruzione della politica e la penetrazione della malavita organizzata ai vertici delle istituzioni. Le attese della società vivile per una svolta radicale
proteste per gli studenti scomparsi

Il Procuratore generale di Giustizia ha rivelato lo scorso 8 novembre, in conferenza stampa, le conclusioni dell’inchiesta aperta per il caso dei 43 studenti scomparsi dal 26 settembre, giorno in cui furono intercettati dalla guardia municipale di Iguala, nello stato di Guerrero, 190 km al sud della Capitale. Come è noto, sei ragazzi sono stati uccisi a sangue freddo al momento dell’arresto, altri hanno trovato il modo di fuggire, ma i poliziotti hanno consegnato 43 di loro ad un gruppo di sicari alleati della polizia.

Da lì in poi la dinamica della vicenda assume caratteri ancor più agghiaccianti così come raccontata da tre degli arrestati dichiaratisi esecutori materiali dell’atroce sterminio. Infatti gli studenti furono trasportati la stessa notte in una camion ed un furgone, per un tortuoso percorso di sentieri scoscesi, su e giù in una zona impervia, isolata, nascosta dalla vegetazione fino ad arrivare in uno sperduto strapiombo che conduce ad una raccolta di rifiuti. Sedici ragazzi sono arrivati morti, asfissiati nel camion, gli altri sono stati trucidati e i loro corpi lanciati giù dal camion. Il mandante, uno dei capi della cosca, ha dato l’ordine di sezionare i corpi e bruciarli con ogni sorta di legni, plastico e copertoni della discarica, per più di 10 ore.  

I fatti e la freddezza del racconto divulgato dalle autorità ha sconvolto il Paese. Si sapeva che qualcosa di orrendo era successo, ma ci si appigliava ad un tenue filo di speranza che, purtroppo, si è rivelato vano.

Il presidente Peña Nieto ha dichiarato la sua vicinanza alle famiglie e ha promesso che questo crimine non resterà impunito, ma da subito una forte contestazione alla sua leadership e alla classe politica si è innescata e ha prodotto manifestazioni di massa nella Capitale e in diverse città. Numerosi striscioni che esprimono rabbia e frustrazione oltre ad un profondo malcontento verso i due partiti al governo nazionale e dello stato dove si è consumato l’eccidio.

La parte onesta del Messico, uomini e donne, lavoratori ed esponenti del ceto intellettuale impegnati in gran ventaglio di associazioni per i diritti umani e sociali, non riescono a darsi ragione della frattura profonda che si è venuta a produrre con le istituzioni della Repubblica.  Lo sconforto è pienamente plausibile se si ricorda quanti altri avvenimenti simili hanno costellato la storia del Paese, tanto che questo orribile avvenimento appare sempre più come la punta di un Iceberg. Negli ultimi 20 anni si contano oltre 30 mila “desaparecidos”, prevalentemente giovani. I loro resti affiorano spesso durante il ritrovamento di fosse comuni che stanno a confermare tragedie annunciate.

 

 La corruzione della polizia è uno dei mali cronici ormai conclamati. È vista come un cancro che non si riesce ad estirpare per carenza di volontà politica. Buoni risultati si registrano negli Stati della federazione dove si è rivelato possibile un vero processo di bonifica dalla corruzione endemica. Nello Stato di Nuevo Leon e, in particolare, nella sua capitale industriale Monterrey, sono stati rimossi migliaia di poliziotti raggiungendo un buon livello di fiducia pubblica. Nello Stato di Guerrero, dove è avvenuta la tragica repressione degli studenti, la penetrazione del narcotrafficanti ai vertici del governatorato e del municipio è potuta avvenire grazie alla  complicità del partito di Sinistra rivoluzionario democratico (Prd), dedito solo all’occupazione del potere e completamente inadempiente nell’avviare processi di selezione morale dei candidati alle cariche politiche.  In questo partito, come nel Pri (Partito rivoluzionario istituzionale) al governo nazionale e in quasi tutti i partiti tradizionali, il criterio prevalente di selezione della classe politica avviene per via clientelare (controllo dei voti) o per la pressione finanziaria. 

A Iguala da anni si denunciavano violazioni dei diritti umani e omicidi politici, senza che ne il Prd al governo, il sistema di sicurezza, il sistema giudiziario o la stessa commissione per i diritti delle vittime riuscissero a condannare e mettere in carcere i colpevoli. Lo stesso sindaco di Iguala è indicato, da molti, come l’autore dell’assassinio di tre militanti del suo stesso partito.

Situazioni come questa hanno generato una giustificata sfiducia e scetticismo nella popolazione. Ma la corruzione attecchisce anche ai vertici della Nazione. È di pochi giorni la sospensione di un concorso che doveva assegnare una seri di appalti, per 7 milioni di dollari, relativi alla costruzione della linea ferroviaria che unirà la Capitale con la ricca  città di Queretaro.  Si sospetta che i referenti locali associati all’azienda cinese vincitrice dell’appalto, siano legati ai vertici del Pri al potere e, in modo particolare, allo stesso presidente, che in passato, da governatore ha già concesso alle società coinvolte ricchi contratti di appalti pubblici.  

Enrique Peña Nieto ha promesso di portare i responsabili del massacro di Iguala davanti ai giudici, ma si tratta di dichiarazioni che non sembrano sufficienti per ridare credibilità al governo. La crisi politica è dietro l’angolo. Ci vorranno tempi lunghi e una alleanza fra tutte le forze politiche e la società civile, con l’intervento di dirigenti onesti, per ripartire sulla traccia di una necessaria rifondazione etica delle istituzioni capace di adottare misure lungimiranti tese a sradicare dalla politica la collusione con la criminalità e ogni clientela.

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