Memoria e identità

Articolo

Quello che in un libro del papa sorprende (chi si lascia sorprendere) è il non comune sguardo d’orizzonte e la straordinaria chiarezza del dettato. Non che Giovanni Paolo II debba avere sempre ragione: si può esaminare, interrogare, discutere quello che dice, ma non si può onestamente non costatare il calibro di una personalità eccezionale e l’alto livello intellettuale e spirituale di un’intelligenza sovrana. Anche quest’ultimo Memoria e identità è un libro prezioso: raccomandandolo in particolare a non credenti e lontani lo definirei un’enciclica laica agli uomini di buona volontà; una lettera filosofico- teologica, comprensibile da tutti, sulla storia del secolo di sangue, con ampi sguardi retrospettivi sulle radici dei nostri problemi, e nella chiave, anche, dell’esperienza biografica dell’autore. Altezza d’orizzonte e chiarezza espressiva si rivelano così non doti separate di queste pagine: scoprono rispettivamente l’assenza di ideologia e la pacata fermezza di conquiste filosofiche (il realismo fenomenologico) e teologiche (la fede e la speranza regolate dalla carità) che illimpidiscono l’occhio di chi scrive sul mondo, sulla storia, su sé stesso. Chi è senza pregiudizi non può non godere questo libro-intervista che non si spezzetta, che si fa sempre discorso coerente e largo, a volte maestoso come un fiume che sfocia nel mare (ovvero il tempo nell’eterno). Fin dalle prime battute bene e male convivono come il grano e la zizzania evangelici e si danno l’abbrivo reciprocamente sotto la mano orientatrice di Dio, il male delle dottrine di sufficienza dell’uomo a sé stesso, il bene del loro superamento, come il male dei conseguenti totalitarismi è continuamente battuto dal bene della loro riduzione a ceneri della storia, mentre il male del loro mascherarsi e occultarsi è denunciato dal bene del loro catastrofico scoperchiarsi confessando sé stessi. Il cuore del libro non può sfuggire al lettore attento, ed è una profondità verissima, bellissima: Dio ha dato all’uomo la libertà come dono e al tempo stesso come compito, Dio ha dato all’uomo la Redenzione non solo come personale vantaggio, ma anche come compito. La libertà perduta e riconquistata non è un usa-egetta, ma il progetto di Dio e dell’uomo inseparabilmente. Qui Giovanni Paolo II tocca il nervo più profondamente scoperto e irritato del secolarismo, quel credere che è la libertà che fa veri, mentre sia il Vangelo che la storia mostrano e dimostrano che è la verità che fa liberi. Ed è consapevole, il papa, per niente sprovveduto e ingenuo, che non meno forti delle correnti dell’evangelizzazione sono quelle dell’anti-evangelizzazione. Egli trova la sua agguerrita serenità non tra gli agnelli ma in mezzo ai lupi, e perciò può con la candida prudenza del Vangelo parlare di famiglia, patria, nazione, radici culturali, senza ombra di politicismo di alcun segno ma sulla linea della sua prima e alta mira apostolica (L’uomo è la via della chiesa ), aggiungendo: Proprio perché l’uomo è un essere personale, non è possibile adempiere a quanto è doveroso nei suoi confronti, se non amandolo. La memoria storica che modella l’identità degli esseri umani a livello sia personale che collettivo, e lo Spirito, che nella chiesa di giorno in giorno risveglia e orienta la sua memoria, compongono il solido lastricato della via per ogni uomo credente e non credente (la chiesa che al papa è cristicamente presente non ha limiti e barriere), poiché in tutti non vi è male da cui Dio non possa trarre un bene più grande. Non c’è sofferenza che egli non sappia trasformare in strada che conduce a lui.

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