Meglio un figlio o una nuova auto?

Figli desiderati e costi reali...
Famiglia

Il rapporto Cisf presentato alla stampa il 23 marzo entra nel merito della generatività familiare. Solo il 46,6 per cento delle famiglie italiane, vi si legge, ha figli e la percentuale bassissima contrasta con la volontà genitoriale: se il numero medio dei figli avuti dagli intervistati è pari a 1,71, il numero medio di quelli desiderati si aggira intorno a 2,13. Diversamente da quanto sembrano dire i piccoli numeri lo scarto è impressionante: esso rivela che ogni famiglia avrebbe mediamente desiderato un figlio in più. In modo forse un po’ semplicistico, si potrebbe spiegare il motivo della rinuncia dicendo che i figli costano troppo. Secondo le previsioni degli italiani intervistati, infatti, un figlio in più costa al mese 643 euro, e questa cifra per la gran parte delle famiglie non è sostenibile.


Per quanto possa sembrare strano le cose stanno esattamente così, anche perché in Italia la distribuzione dei redditi familiari assomiglia a quella dei paesi del Terzo Mondo, con il 60,2 per cento della popolazione costretta a vivere con meno di 1.500 euro al mese. Ovviamente, oltre ai costi monetari bisognerebbe tener conto anche di altri fattori che, tuttavia, confermano come la nascita di un figlio tenda a incidere pesantemente sul ménage familiare. Ci si riferisce cioè ai costi “temporali”, ovvero al tempo dedicato al figlio e non a sé stessi o ad altri scopi, e alle rinunce dei genitori relative alle loro scelte di vita, come le opportunità di carriera.


Forse proprio questi fattori ci aiutano a intravedere un’altra faccia del problema che emerge dal rapporto e che tutto sommato inquieta maggiormente: la progressiva mercificazione dei figli, la loro riduzione a oggetto. Essa tende a essere il background culturale su cui si innesta il calo demografico, come evidenziano due situazioni limite, purtroppo assai diffuse: in primo luogo l’idea che il figlio sia un bene di consumo comparabile con altri beni, quasi si debba decidere tra una nuova nascita e una nuova macchina; in secondo luogo la cultura narcisistica del figlio come oggetto del desiderio di autorealizzazione dell’adulto, anche single. Perché la situazione cambi, dunque, bisogna prima di tutto tornare a considerare i figli un bene “meritorio”, un bene cioè riconosciuto dalla comunità come meritevole di essere perseguito come fine in sé, a prescindere da calcoli utilitaristici o da altre considerazioni di convenienza, e soprattutto riuscire a comprendere che un figlio è esso stesso generatore di un bene – detto “relazionale” – che consiste nella maggiore ricchezza di relazioni di cui gli altri membri della famiglia fruiscono. Solo su queste premesse diventa efficace una serie di interventi (i congedi per genitori, i servizi di cura, le erogazioni monetarie legate ai minori, gli incentivi fiscali, i servizi a tariffa agevolata) di cui gli enti sia pubblici sia privati dovrebbero sempre più farsi carico.

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