Meglio puntare in Basso
Giro d’Italia ed Ivan Basso. Due universi che sono tornati ad essere messi in rima tra loro, esattamente quattro anni dopo la prima vittoria in rosa del corridore di Varese.
Chiamatelo “dejà vu”. Vedere Ivan Basso fasciato nel suo body rosa, diciamolo pure: fa un certo effetto. Alcuni gioiscono nell’ammirare una persona ed un ciclista che dopo aver pagato per i propri errori è tornato, per riconquistare l’affetto della gente, vincendo per la seconda volta la corsa rosa, la vittoria dei sogni. Altri sposano il sospetto che da anni veleggia nell’ambiente delle due ruote a pedali, perché troppe sono state le illusioni di presunti campioni che emozionavano la gente a colpi di trucchetti e pozioni magiche. Da queste parti si dice senza mezze misure che: “La madre degli imbecilli è sempre incinta”. “La mano sul fuoco sui corridori non bisogna mai metterla”. “Ivan Basso chissà se è veramente cambiato. Aspettiamo un mese per vedere i risultati dell’antidoping”. In questa incudine sembra infilarsi Ivan con la sua nuova fiammante maglia rosa.
Diciamolo pure: Basso è uno dei pochi sportivi che ha pagato per aver frequentato il dottor Fuentes e con lui Michele Scarponi, che per poco non ha sfiorato il terzo posto in questo Giro d’Italia. Nell’agenda di quel medico c’erano anche calciatori, tennisti, atleti di spicco dell’atletica leggera. Ma perché solo i ciclisti hanno pagato? Forse questo basta per dare alla gente qualcosa, perché in fin dei conti rende tutto molto più umano. Basso lo sentiamo di più “uno di noi” perché tutti sbagliamo, scivolando in errori piccoli e grandi e se lo vogliamo abbiamo sempre un’opportunità per ricominciare, imparando dal passato e lui ne è l’esempio.
Ivan non è un corridore spettacolare, non ha il carisma da trascinatore di folle di uno come Pantani. Ha “solo” una dote ben sviluppata, che nel ciclismo di oggi, dove il livello è più omogeneo permette di fare la differenza: riesce a resistere alla fatica qualche istante in più degli altri. E tutto questo ci basta se conduce verso la vittoria, se è fatto tutto solo con il cuore, la testa, l’anima e le gambe. Guardando questo Giro c’è più da sposare la linea della fiducia più che il pessimismo. Nessuna grande impresa, corridori accasciati per terra dopo aver dato tutto pur di raggiungere il sogno del successo di tappa. Colpi d’orgoglio, come quello di Garzelli a Plan de Corones o del mitico Gilberto Simoni che ha cercato timidamente di “graffiare” questo Giro, lanciandosi in una lunga fuga nella penultima tappa, tra le sue montagne, che tanto hanno dato alla sua carriera. Sfilando nell’Arena al termine della cronometro, “Gibo” ieri ha salutato tutti sfoggiando un insolito completo nero da ciclista sopra ad una camicia bianca con cravatta rosa. Uno stile impeccabile nello scenario dell’Arena di Verona, un modo per inchinarsi di fronte all’ovazione del pubblico. Nella “scala del ciclismo”, ieri abbiamo salutato uno dei pochi campioni rimasti in questo ciclismo d’avanguardia. Simoni e Basso: antiche rivalità e veleni a colpi di fioretto, frecciatine e dichiarazioni pesanti.
Ieri tutto sembrava condurre in questo universo fatto di astri e costellazioni, di campioni splendenti di gloria che si consegnavano alla storia di questo sport, mentre l’esplosione di una supernova faceva nascere una nuova stella, già vista, ma probabilmente più splendente: Ivan Basso. Eppure dopo tutto quello che è successo, dopo la squalifica che lo ha tenuto fuori dalle corse due anni, la gente quando lo ha visto sulla pedana di partenza dell’ultima tappa a cronometro, ha acclamato il suo nome a gran voce. Sembrava di vivere in uno scenario da figliol prodigo. Le urla dei tifosi lanciavano un messaggio: “Bentornato a casa Ivan”.