Meglio il bene o i valori?
Tutti parlano di valori: «La nostra politica difende i valori della famiglia, della libertà, della patria»; «Noi lavoriamo per i valori fondanti della nostra democrazia»; «La società è bisognosa dei valori di giustizia, libertà e solidarietà»; «La vita è l’unico valore»… E via dicendo. Persino la pubblicità usa lo stesso linguaggio. E proprio ieri un allenatore di calcio ha detto di «voler difendere in panchina i valori dello sport»!
È tuttavia la politica a fare la parte del leone in quest’appropriazione, per certi versi indebita, in una strana campagna elettorale «fuori tono», come ha denunciato Napolitano. C’è chi ha inserito il termine stesso nel nome del proprio partito e chi ha redatto la lista dei “dieci valori”. Un’inflazione di termini sensibili, sparsi come prezzemolo sulla pietanza elettorale, quasi per riempire vuoti di idee difficilmente colmabili.
Ho tuttavia l’impressione che troppe volte queste esternazioni di valori – o meglio, di liste di valori, tre alla volta di solito – siano frutto dell’ormai imperante relativismo, che ha trovato in questo espediente linguistico un modo per non impegnarsi troppo. Perché i valori elevano, tonificano, rassicurano. Ma per tanti hanno anche un’altra caratteristica: vanno e vengono. Come la General Motors: era la regina di Wall Street, la “Borsa valori” per eccellenza, ed ora è fallita ed è stata addirittura cancellata dall’indice dei valori Down Jones.
Così l’uno continua a considerare la famiglia come suo valore di riferimento, ma cambia moglie. Un altro dice: «Il mio valore è la legalità, ovvio; però il mio commercialista mi ha prospettato di pagare il 30 per cento in meno di tasse semplicemente con una piccola omissione. E che sono scemo a non farlo?». Un terzo propugna il valore della difesa della vita, ma con quella ragazza che ha messo incinta, beh, mica può rovinarsi la reputazione costruita con tanti sacrifici!
Scrive il filosofo Gilles Lipovetsky, uno che se ne intende di effimero e relativismo, di mode e consumismo, avendo dedicato tutta la sua vita accademica al loro studio (mi scuso per la lunga citazione): «Dall’entrata delle nostre società nell’era del consumo di massa, sono i valori individualistici del piacere e della felicità, della realizzazione intima, che predominano e non più il dono della propria persona, la virtù austera, la rinuncia a sé stessi. Certo, si osserva il ritorno della preoccupazione dei valori nella politica, nei media e nelle imprese; certo, le operazioni caritative e umanitarie si moltiplicano. Ma, simultaneamente, si nuota in una cultura individualista del benessere, dell’estasi dei corpi, del successo e dell’autonomia soggettiva».
Che vuol dire? Che è più facile e meno impegnativo fondare la propria morale su dei vaghi valori che possono essere sostituiti a seconda della convenienza, o semplicemente taciuti quando è necessario per il proprio successo individuale. Il valore è un orizzonte più o meno lontano, che spesso si desidera tenere il più possibile a debita distanza, quasi come semplice sfondo di esistenze sempre più individualistiche, sempre più «svuotate di senso», come dice Enzo Bianchi.
Il bene – qui inteso come oggettivo – e la virtù che ne è al servizio, invece, erano cose più solide, princìpi che implicavano un impegno personale, una coerenza tra il detto e il vissuto. Il bene richiede in effetti una risposta immediata da parte del soggetto e della sua coscienza. Mi trovo di fronte alla possibilità di pagare meno tasse con un’innocua omissione? Se uso il valore della legalità, posso anche rispondermi che essa rimane per me un valore certo; ma nel concreto, siamo realisti, posso considerare quella omissione come necessaria, si pagano troppe tasse! Se invece dinanzi a me ho il bene, debbo chiedermi: non pagare quel 30 per cento di tasse è un bene o un male? La risposta è allora obbligatoria: se non lo pago, commetto un male. Se volete, un peccato.
D’accordo, in questa nostra Italia si può cercare di arginare il decadimento etico cercando di fondare una “morale dei valori”, meglio di niente, e qualcuno ha cercato di farlo. Ma forse, ricominciando a parlare di bene – di “bene della famiglia” e non di “valore della famiglia”, di “bene della legalità” e non di “valore della legalità”, di bene comune e di bene personale –, forse qualcosa potrebbe migliorare.