Mefistofele
Torna dopo 40 anni l'opera di Arrigo Boito al Teatro dell'Opera di Roma, in un nuovo allestimento che privilegia il lato onirico.
Torna dopo 40 anni l’opera di Arrigo Boito al Teatro dell’Opera di Roma. Diciamolo subito: le rughe ci sono e si vedono. Il libretto lunghissimo – prologo, tre atti, un epilogo – zeppo di preziosismi letterari oggi appare superato, e la musica stessa, nel suo eclettismo che spazia dal Settecento al grand opéra, da Verdi a Wagner, non è seducente. Tranne alcuni momenti ormai celebri – il duetto Lontano, lontano, l’aria L’altra notte in fondo al mare…– risente di quella mancanza di visione unitaria che è forse il limite maggiore di Boito librettista-compositore. Troppo colto, troppo eclettico, troppo sensibile per riuscire a controllare gli innumerevoli spunti letterari e musicali e a “sedarli” in un racconto organico consistente. D’altra parte, la teatralità dell’opera (1876) è indubbia e sul palcoscenico ha un suo fascino suggestivo fra sabba, cori mistici, invocazioni diaboliche, amori. Certo del lavoro di Goethe manca la complessità, e d’altronde sia Boito che Gounod (più dotato musicalmente) hanno dovuto scegliere una sorta di riassunto del capolavoro quando si sono messi ad affrontarlo per il teatro musicale.
Comunque sia, l’opera è stata rappresentata a Roma, forse per ridarle quella popolarità che aveva sino a metà del Novecento e che oggi è quasi scomparsa. Il nuovo allestimento ispirato ai bozzetti originali di Camillo Parravicini ha privilegiato video onirici, con Mefistofele che dall’alto di una sorta di torre contemplava il crogiolo di luci, proiezioni infernali o celesti, nella regia consolidata di Filippo Crivelli. Cosa che non è spiaciuta al pubblico, abituato ormai a spettacoli multimediali. Sul versante musicale, il secondo cast si è rivelato di poco fascino, forse tranne per la Margherita di Teresa Romano. Quanto alla direzione di Renato Palumbo, ci si aspettava di più, conoscendo l’esperienza e la musicalità del maestro. L’orchestra, purtroppo, non era in uno stato di grazia. Risultato: l’Opera romana ha fatto bene a riesumare Mefistofele, ma ora forse è il caso di farlo riposare per un po’.