Meeting di Rimini, per una società più libera e solidale. Intervista a Bernard Scholz

«Il nostro approccio non è mirato a definire, ma a suscitare: suscitare confronto, collaborazione, condivisione».
Bernhard Scholz Foto Matteo Gianni

La curiosità del giornalista ed un invito di amici mi hanno portato quest’anno per la prima volta al Meeting di Rimini, dove ho trovato un ambiente davvero accogliente e laico, in cui non è sconveniente parlare di Dio.

Intanto mi ha colpito il popolo, tanta gente, molti giovani appassionati, ed i diversi eventi che rendono esplicito quello che può essere il contributo di un movimento ecclesiale alla vita civile di un Paese: economia, arte, filosofia, storia e storie, ed anche la politica.

Storicamente è quest’ultima che catalizza l’attenzione dei media ma questo racconto monotematico rischia di dare una visione molto parziale, forse distorta, della realtà del Meeting.

È vero che la politica ha un vitale bisogno di ritrovare il contatto col popolo e in particolare col popolo cristiano, di rinnovarsi, di uscire da una polarizzazione che allontana la gente dalle urne, e al Meeting questo tentativo si percepisce.

Parliamo di questa edizione con il presidente del Meeting di Rimini, Bernhard Scholz, di cui diamo un cenno biografico. Nasce a Müllheim in Germania nel 1957 e si diploma ad Einsiedeln (Svizzera), città cara ai focolarini per l’intuizione di Chiara Lubich che pochi anni prima, nel 1962, ammirandone da una collina l’abbazia benedettina immagina una cittadella dove l’unica legge sia quella evangelica dell’amore reciproco, da lì nasceranno la cittadella di Loppiano in Italia e molte altre.

Bernhard Scholz è laureato in Scienze Politiche e Storia Moderna presso l’Università di Freiburg in Brisgovia, con una tesi su Max Weber. Lavora poi come giornalista professionista ed approfondisce temi legati alle pubbliche relazioni, alla comunicazione e alla cultura organizzativa.
Dalla fine degli anni novanta si dedica alla consulenza ed alla formazione manageriale per grandi aziende e piccole e medie imprese. È stato presidente della Compagnia delle Opere dal 2008 al 2020. Nel 2020 viene nominato presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli ETS. È sposato e ha 3 figli.

 Presidente Scholz, perchè il titolo del Meeting è spesso una domanda?
Al di là del segno di interpunzione usato, tutti i titoli del Meeting nascono per aprire delle domande significative, per avviare un dialogo interessato alla costruzione del futuro.  Il nostro approccio non è mirato a definire, ma a suscitare: suscitare confronto, collaborazione, condivisione. Come? Attraverso le esperienze di persone di ambiti diversi – educazione, cultura, economia, lavoro, arte – che si lasciano provocare e si mettono in gioco. Così è stato con il titolo di quest’anno: «Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?». A fine Meeting ci siamo ritrovati arricchiti, abbiamo scoperto potenzialità di questa frase che prima non avremmo immaginato. Tengo a sottolineare soprattutto la questione di metodo: il Meeting è un luogo per aprire ed affrontare insieme questioni importanti per la vita delle persone, per le nostre società, per il futuro dei popoli. Ognuno è invitato a condividere la propria identità, la propria esperienza, le proprie idee, perché insieme possiamo fare un passo in avanti.

 Qual è l’anima del Meeting, che ne tiene assieme le iniziative, e come si lega al pensiero di don Giussani?
Il Meeting è nato da alcuni amici riminesi entusiasti dell’esperienza cristiana conosciuta attraverso don Giussani. Un’esperienza che si rivelava un’apertura piena di curiosità e di passione per tutto ciò che può rendere la vita più vera, più bella, più orientata al bene, con una straordinaria capacità di valorizzare ciò che avviene. Don Giussani ha sempre sottolineato la dimensione culturale della fede e il Meeting vuole essere un luogo dove si può fare esperienza di questa cultura. Mi pare che questo aspetto sia rimasto nel nostro dna, nonostante il passare degli anni, ed ancora oggi è il segreto del coinvolgimento di generazioni sempre nuove. Penso ai nostri tremila volontari, il 60 per cento dei quali ha meno di trent’anni e che sono la vera anima del Meeting, ben prima e ben al di là dell’apporto organizzativo eccezionale che offrono.

Anche quest’anno una presenza molto qualificata di esponenti imprenditoriali e della politica, qual è il rapporto, costruito negli anni, con queste realtà?
Per quanto riguarda le imprese, in modo più accentuato dopo la pandemia, è avvenuto proprio ciò che dice lei: “un rapporto costruito negli anni”. Le aziende partner non sono solo benemerite sostenitrici, ma attraverso le persone che ne fanno parte si affiancano al Meeting in un percorso condiviso su contenuti quali la sostenibilità, il lavoro, l’energia, la salute, il futuro delle città, trovando nel Meeting stesso un punto di condivisione e di dialogo di cui sentono una grande necessità. È incredibile vedere esponenti di aziende concorrenti che su questi temi danno un libero apporto alla costruzione del programma. Così gli imprenditori, come i curatori delle mostre, i relatori, i volontari, i partner del Villaggio Ragazzi o della Cittadella dello Sport, costruiscono il Meeting assieme a noi. Per quanto riguarda gli esponenti delle istituzioni, vengono coinvolti sui temi di loro competenza per confrontarsi con manager, uomini di cultura, rappresentanti di esperienze sociali ma anche giovani che si affacciano al mondo del lavoro. A questi incontri con i rappresentanti delle istituzioni si aggiungono incontri fra i rappresentanti dei diversi partiti politici per un confronto su temi attuali di grande importanza. E spesso la politica al Meeting mostra il suo volto migliore: il confronto sui contenuti, la rinuncia agli slogan e la ricerca comune di soluzioni praticabili.

Qual è, dal suo punto di vista, il bilancio di questa edizione del Meeting?
Il bilancio numerico è molto positivo, sia per quanto riguarda la partecipazione in presenza, sia per il pubblico che ci segue dalle piattaforme digitali, che ha avuto un boom dopo gli anni del Covid. Anche la presenza sui media ha aumentato il suo impatto. Ma il bilancio che personalmente mi sta più a cuore, nasce pensando alle mostre su William Congdon e su Franz e Franziska Jägerstätter, allo spettacolo inaugurale sul viaggio in Terra Santa del grande scrittore Francese Eric-Emmanuel Schmitt e lo spettacolo su san Francesco, pensando agli incontri con il patriarca di Gerusalemme dei Latini Pierbattista Pizzaballa e con un padre israeliano e uno palestinese che hanno perso le figlie nel conflitto, ai tanti incontri con giovani artisti, autori, scienziati, insegnanti, imprenditori, lavoratori, o ancora pensando alla partecipazione così appassionata dei visitatori. Sono diventato ancora più consapevole che il Meeting è un evento capace – quest’anno con un’energia particolare – di contribuire alla costruzione di una società più libera e più solidale e quindi di una democrazia sostanziale e di rendere presenti esperienze di riconciliazione che sono una profezia per la pace. Siamo noi i primi ad essere sorpresi di quello che è accaduto al Meeting, che è andato al di là delle nostre aspettative. Il Meeting è veramente un grande dono.

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