Francesco: il Mediterraneo un mare aperto all’incontro
Napoli accoglie papa Francesco nella suggestiva cornice del piazzale che si affaccia sul Golfo della città, in una calda giornata di giugno. Alla presenza di studenti, docenti e autorità accademiche, per la prima volta parla della riforma teologica a un anno e mezzo dalla pubblicazione della Costituzione apostolica Veritatis gaudium, con la quale ha voluto imprimere agli studi teologici ed ecclesiastici un rinnovamento nel senso di una Chiesa “in uscita”. Il suo intervento conclude il convegno “La Teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo”, organizzato dalla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale.
«Il Mediterraneo è da sempre luogo di transiti, di scambi, e talvolta anche di conflitti», ricorda il papa. «Come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevalere nelle nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra? Come le religioni possono essere vie di fratellanza anziché muri di separazione?».
La via maestra, spiega, è l’apertura all’accoglienza e al dialogo. La teologia dopo Veritatis gaudium è una teologia dell’accoglienza, che sviluppa un dialogo con «le istituzioni sociali e civili, con i centri universitari e di ricerca, con i leader religiosi e con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per la costruzione nella pace di una società inclusiva e fraterna e anche per la custodia del creato».
L’approfondimento del kerygma e il dialogo sono i criteri per rinnovare gli studi: essi sono a servizio dell’evangelizzazione che, ricorda papa Francesco, non è proselitismo. Quindi l’invito a uno «stile di vita e di annuncio senza spirito di conquista, senza volontà di proselitismo e senza un intento aggressivo di confutazione». Uno stile che «entra in dialogo “dal di dentro” con gli uomini, con le loro culture, le loro storie, le loro differenti tradizioni religiose; una modalità che, coerentemente con il Vangelo, comprende anche la testimonianza fino al sacrificio della vita». Per il papa, le scuole di teologia «si rinnovano con la pratica del discernimento e con un modo di procedere dialogico» che ponga domande e sappia cercare insieme vie di soluzione. Infatti, «il modo di procedere dialogico è la via per giungere là dove si formano i paradigmi, i modi di sentire, i simboli, le rappresentazioni delle persone e dei popoli».
Tuttavia, il dialogo non è una “formula magica”: esso va incoraggiato e favorito, sia tra studenti e docenti, sia con le altre religioni: «Gli studenti di teologia dovrebbero essere educati al dialogo con l’Ebraismo e con l’Islam per comprendere le radici comuni e le differenze delle nostre identità religiose, e contribuire così più efficacemente all’edificazione di una società che apprezza la diversità e favorisce il rispetto, la fratellanza e la convivenza pacifica». «Con i musulmani siamo chiamati a dialogare per costruire il futuro delle nostre società e delle nostre città; siamo chiamati a considerarli partner per costruire una convivenza pacifica, anche quando si verificano episodi sconvolgenti ad opera di gruppi fanatici nemici del dialogo, come la tragedia della scorsa Pasqua nello Sri Lanka».
Una teologia dell’accoglienza, continua il papa, è una teologia dell’ascolto, di un ascolto consapevole del vissuto – a volte doloroso – e delle potenzialità dei popoli che si affacciano nel Mediterraneo, «mare del meticciato, un mare geograficamente chiuso rispetto agli oceani, ma culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione». La realtà multiculturale e pluri-religiosa del nuovo Mediterraneo, dice il papa, si forma con narrazioni rinnovate e condivise, capaci di parlare al cuore delle persone, «in cui sia possibile riconoscersi in maniera costruttiva, pacifica e generatrice di speranza».
Nel cammino di uscita da sé verso gli altri, i teologi sono chiamati ad essere «uomini e donne di compassione, toccati dalla vita oppressa di molti, dalle schiavitù di oggi, dalle piaghe sociali, dalle violenze, dalle guerre e dalle enormi ingiustizie subite da tanti poveri che vivono sulle sponde di questo “mare comune”». La teologia si può fare solo “in ginocchio”: è la preghiera che alimenta la comunione e fa nascere la compassione, senza le quali essa «non solo perde l’anima, ma perde l’intelligenza e la capacità di interpretare cristianamente la realtà».
La teologia dopo Veritatis gaudium è una teologia “in rete” e, particolarmente nel Mediterraneo, in “solidarietà con tutti i ‘naufraghi’ della storia”. Il lavoro delle università ecclesiastiche concorre a costruire una società giusta e fraterna nella quale la cura del creato e l’edificazione della pace sono frutto della collaborazione tra istituzioni civili, ecclesiali e interreligiose.
Infine, sottolinea il papa, è necessario favorire il più possibile la partecipazione di coloro – seminaristi, religiosi, ma anche i laici e le donne sia laiche che religiose – che desiderano studiare teologia, attraverso strutture flessibili negli orari, per favorire la frequenza. «In particolare – sottolinea papa Francesco –, il contributo che le donne stanno dando e possono dare alla teologia è indispensabile e la loro partecipazione va quindi sostenuta».
«Sogno Facoltà teologiche dove si viva la convivialità delle differenze – conclude il papa –, dove si pratichi una teologia del dialogo e dell’accoglienza; dove si sperimenti il modello del poliedro del sapere teologico in luogo di una sfera statica e disincarnata. Dove la ricerca teologica sia in grado di promuovere un impegnativo ma avvincente processo di inculturazione».