Medio Oriente: manca l’acqua

In Medio Oriente abita il 6% della popolazione globale, ma le risorse idriche disponibili sono solo il 2% di quelle mondiali. In pochi anni, l’accaparramento e lo sfruttamento delle risorse, gli sprechi e le guerre hanno portato ad un disastro ambientale ormai imminente. Sta crescendo anche tra i musulmani una nuova sensibilità ecologica
(AP Photo/Nabil al-Jurani)

Chi non ha sentito parlare di Sinbad il marinaio? È un ciclo di storie arabe (anche se di probabile origine persiana), inserite nelle mitiche “Mille e una notte”. Racconta i sette fantasmagorici viaggi di Sinbad, un marinaio, scaltro e senza scrupoli, che sarebbe vissuto ai tempi del Califfato abbaside (750-1258). Tutti i viaggi per mare di Sinbad iniziano e terminano sempre ad al-Basra, il grande porto alla confluenza del Tigri con l’Eufrate, per secoli fiorente centro di commerci con tutto il mondo, soprattutto con l’Asia e l’Africa.

Al-Basra, che noi chiamiamo Bassora, è diventata oggi l’emblema del degrado ambientale del Medio Oriente.

Bassora è una città di oltre 3 milioni di abitanti, che vivono tra i fumi inquinanti dei pozzi di petrolio, e la metà di loro non ha accesso all’acqua potabile. Lo Shatt al-’Arab, il breve tratto di fiume che nasce dalla confluenza del Tigri con l’Eufrate e si getta nel Golfo Persico, contiene ormai più sostanze tossiche e batteri che pesci. E la “crisi idrica” della regione sta diventando rapidamente molto grave. Con l’aggravante della siccità provocata dai cambiamenti climatici, in pochi anni la zona potrebbe diventare inabitabile. E Bassora è solo uno dei disastri ambientali del Medio Oriente.

Da Bassora ad Abadan, nella vicina provincia iraniana del Khouzestan ci sono poco più di 200 Km, e nella regione scorre uno dei fiumi più importanti del Paese, il Karun, che sarebbe un affluente del Tigri, ma nel suo percorso di oltre 900 Km l’acqua del Karun viene talmente intercettata per usi soprattutto agricoli che nel Tigri praticamente non ne arriva più.

Si potrebbero citare molte altre situazioni, per esempio Damasco, la capitale della Siria, da secoli celebrata da tanta letteratura come un giardino, e dove ormai i fiumi sono ridotti a fossi. La famosa regione della Ghouta, che era l’orto della città, è cementificata e distrutta dalla guerra. Oppure il grande fiume Giordano, ormai divenuto un rigagnolo fangoso, e il Mar Morto che senza apporto d’acqua si riduce sempre più per l’intensa evaporazione.

Sono solo esempi, il problema è molto più ampio. Un rapporto del World Resources Institute (Wri) già qualche anno fa indicava a livello planetario 17 Paesi (con una popolazione complessiva pari al 25% di quella mondiale) a rischio idrico elevato: e 12 di questi Paesi sono mediorientali, Qatar in testa.

(AP Photo/Nabil al-Jurani)

Il problema è originario: in Medio Oriente abita il 6% della popolazione globale, ma le risorse idriche disponibili sono solo il 2% di quelle mondiali. Se a questo dato fisico si aggiungono l’inquinamento, il degrado climatico globale, gli sprechi e l’uso dissennato dell’acqua in alcuni Paesi petrolieri, si comprende che il problema per la maggioranza delle persone si fa drammatico. La Fao stima che nella regione mediorientale entro il 2025 la disponibilità d’acqua pro-capite scenderà mediamente a 500-600 metri cubi l’anno, quando la soglia minima stimata come primaria è di 1.000 metri cubi.

C’è anche chi, come Israele, ottiene acqua potabile dissalando quella del mare (il 55% del fabbisogno), ma qui si tratta di avere capitali e tecnologie che altri nella regione non possono permettersi.

C’è però anche una reazione positiva: si tratta del sorgere e svilupparsi dell’impegno per l’ambiente di un numero sempre maggiore di musulmani. Una delle voci più autorevoli è senza dubbio quella di Fazlun Khalid, fondatore (nel 1993 a Birmingham) della Fondazione islamica per le scienze ecologiche e ambientali (Ifees/EcoIslam). Khalid è stato l’anima e il promotore della “Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico globale” firmata a Istanbul il 19 agosto 2015 dai rappresentanti di 20 Paesi islamici del mondo. A un livello di sensibilizzazione dei credenti musulmani è attiva nel Regno Unito, per fare un esempio significativo, una federazione di 22 moschee, l’Hazrat Sultan Bahu Trust, un movimento islamico internazionale, aperto al dialogo con credenti di altre fedi. Esiste da qualche anno anche in Italia una fondazione collegata a quella inglese. Uno degli impegni primari del Bahu Trust è proprio quello di fare un lavoro sull’ambiente “basato sulla fede” per influenzare il cambiamento nei comportamenti delle persone riguardo alla sostenibilità ambientale.

Il testo sacro dell’Islam, il Corano, è infatti denso di insegnamenti che invitano gli uomini a rispettare e custodire la Creazione. Un esempio: “Non riflettete sull’acqua che bevete: siete forse voi a farla scendere dalla nuvola o siamo Noi che la facciamo scendere? Se volessimo la renderemmo salmastra: perché mai non siete riconoscenti?” (Corano LVI:68-70).

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