Medio Oriente: l’arroganza nemica della pace

Le ultime vicende mediorientali paiono confermare come il principale nemico della conciliazione siano gli atteggiamenti di sfida e disprezzo che coinvolgono gli attori sul campo. Perché ciò impedisce l’azione della diplomazia e del dialogo tra popoli
Corteo funebre a Teheran del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, Iran, 1 agosto 2024. Foto: EPA/ABEDIN TAHERKENAREH via Ansa

È l’epoca dell’arroganza. Mentre a Parigi si celebra il rito della laicità sportiva – positivissima, se non scivolasse talvolta nel laicismo –, con i consueti corollari di accuse e contraccuse e l’orgoglio di un Paese che predica l’excellence, ma che non va scevra da critiche sull’organizzazione delle Olimpiadi, e che nelle risposte talvolta sfiora l’arroganza, in Medio Oriente si celebra una tutt’altra competizione, una partita a scacchi tra arroganze opposte ben più gravi, che sfiorano talvolta il ridicolo e l’infantilismo, se non fosse che ci sono di mezzo migliaia di morti.

Arroganza di Israele, anzi del suo governo, che vuol dimostrare la sua supremazia nell’intelligence, andando ad ammazzare il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, addirittura nel cuore dell’impero degli ayatollah, usando alta tecnologia e organizzazione perfetta (a modo loro), così come arriva ad ammazzare un capo militare degli alleati di Hezbollah a Beirut, nella periferia sud, quella che va verso l’aeroporto. Un’operazione che lascia col fiato sospeso, e che vuole vendicare così lo scacco dei servizi interni nel non aver previsto l’attacco del 7 ottobre (ormai è chiaro che Israele “sapeva”). Non si tratta degli stessi organismi – il Mossad è l’intelligence esterna, quella interna invece è appannaggio del Shin Beth –, ma il governo è lo stesso. Israele, insomma, colpisce dove vuole e quando vuole, con arroganza e disprezzo del diritto internazionale (o delle sue ceneri).

Arroganza di Hamas, che ha costretto il suo popolo a una guerra terribile, che ha fatto finora quarantamila morti e centomila feriti, più un milione e passa di profughi in giro per la stretta Striscia di Gaza, cercando di evitare le gragnuole di armi provenienti dall’esercito israeliano. Arroganza dei suoi capi, che si sono ritenuti quasi immortali, ma che sono stati scovati dal nemico là dove pensavano di essere al sicuro.

Arroganza dell’Iran, che non ha saputo proteggere i suoi ospiti, che continua a sfidare il mondo con i suoi alleati russi e cinesi, questi ultimi al solito defilati, mentre i primi hanno comunque altre gatte da pelare in Ucraina. Arroganza del regime di Teheran, che continua a tenere sotto una cappa poliziesca una gioventù cittadina – meno rurale – che vorrebbe una società dei diritti all’occidentale, ma che non riesce ancora a scalzare gli ayatollah dal governo.

Arroganza di Hezbollah, che continua a bombardare Israele nei suoi distretti settentrionali, senza mai affondare in una guerra non dichiarata esplicitamente con i vicini del Sud, conflitto che finora ha fatto qualche centinaio di vittime sopra la linea di demarcazione custodita dall’Unifil (tra cui più di un migliaio di soldati italiani), e qualche decina al di sotto. Gli Hezbollah tengono in ostaggio circa due terzi dei libanesi, che non vogliono minimamente una guerra con Israele, e che vorrebbero vivere finalmente in pace.

Arroganza di tanti, troppi media, che da una parte danno un’amplificazione straordinaria alla pur esecrabile strage dei bimbi curdi ad opera di un missile di Hezbollah sfuggito al controllo dei lanciatori, e dall’altra mettono la sordina alle ben più sanguinose stragi di civili e di bambini perpetrate ogni giorno nella Striscia di Gaza, dal 7 ottobre in poi.

Arroganza di una diplomazia internazionale che, pur mostrando un iperattivismo itinerante di ambasciatori e ministri, non riesce a mettere mai le carte in tavola, limitandosi a risolvere qualche piccola tregua, qualche scambio di prigionieri (perché interessa molto più lo scambio che ha riguardato Russia e Stati Uniti di quelli che potrebbe interessare migliaia di persone in Israele e nei Territori palestinesi?).

La pace non vive certo di arroganza, che ha come scopo l’umiliazione dell’avversario. Si aspetta ora la risposta iraniana alla mossa del Mossad. Non è dato sapere né i tempi né le modalità. La sola speranza sta nel fatto che pochi vogliono una guerra dichiarata e devastante, generalizzata al punto da sfuggire al controllo dei governanti. Non la vogliono né gli Stati Uniti (questioni elettorali), né la Cina (questioni commerciali), né la Russia (che ha una gatta da pelare molto più ribelle nel Donbass), non la vuole ovviamente l’Europa (anche se annichilita nella sua azione diplomatica come un vaso di argilla che viaggia tra vasi di ferro), non la vuole la società civile di Israele (che grida ma non viene ascoltata), né la popolazione palestinese (ormai stremata da ottant’anni di emarginazioni), né i libanesi (sfiniti da sessant’anni di tensioni), né l’Iran (la sua potenza è comunque spuntata da tanto isolamento)… Non la vuole nemmeno Hezbollah (che perderebbe la sua potenza militare interna al Libano), per non parlare dei sauditi (che vogliono solo rafforzare le loro economie)…

Ma, allora, chi la vuole alla fine questa guerra? Pare strano, ma gli unici che sembrano volere la guerra (e ripetono che siamo in guerra in ogni occasione), sono innanzitutto il premier israeliano Netanyahu (che finita la guerra dovrà sloggiare) e alcuni dei suoi alleati di governo (non tutti, però), e poi sullo sfondo l’industria bellica (al solito cinica e arrogante, dietro la facciata bempensante).

Possibile che la comunità internazionale non riesca a bloccare l’azione di uno statista e di un settore industriale?

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