Il medico dei sorrisi restituiti
Medico da 7 generazioni, la passione per l’utilità del suo lavoro in terra di emergenza, nasce da ragazzo. Comincia in Togo, 25 anni fa, da neolaureato. Ma oggi la sua passione-missione è diventata un’organizzazione non governativa, Emergenza Sorrisi, con 370 medici e infermieri volontari, che realizza missioni chirurgiche in 18 Paesi in via di sviluppo, e come plus offre la formazione di personale medico-sanitario sul posto. Dietro le quinte, la toccante storia personale con il dolore della perdita di un figlio, e la forte esperienza di fede che anima il suo lavoro.
Abbiamo incontrato il dott. Abenavoli in occasione di un convegno a Roma per presentare il centro medico di Sabou in Burkina Faso, dove si stanno per costruire delle sale operatorie adeguate a fronteggiare chirurgie più impegnative, e dove si è avviata una collaborazione stabile con il ministero della salute burkinabé.
Come concilia il suo lavoro di chirurgo plastico qui in Italia con il suo lavoro in giro per il mondo? L’attività in Italia – chirurgia plastica sia estetica che ricostruttiva – è la fonte di finanziamento per me e per la mia famiglia. L’altra attività è volontaristica e perciò gratuita. Svolgo missioni per due mesi e mezzo all’anno, sia dove ci sono le nostre sedi che in altri Paesi, come la Libia. La settimana scorsa ero in Iraq, prima ancora a Tunisi per un corso di formazione. Fortunatamente l’équipe è numerosa, così ci alterniamo. La mia giornata è dedicata metà all’attività medica e metà ad Emergenza Sorrisi.
Nassiriya. In Iraq, come in Afghanistan, quando si sparge la voce del vostro arrivo, la gente si mette in coda. Come è andato il vostro ultimo viaggio?
In sei giorni abbiamo fatto 122 interventi, visitato più di 220 pazienti, bambini e adulti, si sono presentati anche alcuni casi clinici particolarmente severi che dovremo portare in Italia. Stiamo cercando adesso di organizzare la base tecnica: trovare gli ospedali che li accettino, organizzare il viaggio…
Trasferiamoci in Burkina Faso. Nei giorni scorsi avete presentato al grande pubblico il Centro Medico di Sabou. Come è nata l’iniziativa?
La nostra presenza in Burkina nasce da un contatto con i Frati Francescani minori conventuali che da anni sostengono questa struttura ospedaliera – nata inizialmente come un semplice dispensario farmaceutico – nel centro del Burkina Faso. Si assistono oltre 100mila persone l’anno. Un punto nevralgico, nella parte più centrale del Burkina, su una strada che attraversa tutto il Paese e dalla quale arrivano anche dai Paesi circostanti. Abbiamo iniziato una collaborazione per creare un centro chirurgico, e con un importante finanziamento dalla Cei dovremmo concluderne l’ampliamento, con 2 sale operatorie all’avanguardia, dove faremo sia attività di assistenza medica, sia formazione per i medici locali e master con strutture universitarie italiane. La parte formativa per noi è fondamentale. Lo vediamo come un possibile faro in una situazione sanitaria estremamente difficile come quella del Burkina Faso. Il Convegno del 10 marzo scorso ha avuto proprio la finalità di allargare la rete dei sostenitori facendo conoscere le attività del centro. E così contribuiamo allo sviluppo nei Paesi d’origine, alla crescita dell’occupazione, alla possibilità di una vita dignitosa, e quindi contrastare l’immigrazione che è una iattura anche per questi Paesi. Il ministro della sanità burkinabé, Nicolas Meda, avendo compreso da tempo la portata di questo centro e l’azione dei frati, è venuto apposta in Italia per l’occasione.
Quale il suo ricordo personale del Burkina Faso?
Il Burkina è un Paese con una caratteristica: ha veramente il desiderio di svilupparsi. Conosco i Paesi un po’ più poveri dell’Africa, e in molti di questi c’è una sorta di attesa di qualcosa che non si realizza. Il Burkina ha persone molto attive che desiderano portare avanti una progettualità. Il recente attacco terroristico sottolinea invece la volontà di mantenere la paura, l’ignoranza e impedire lo sviluppo.
Emergenza Sorrisi ha da poco festeggiato i 10 anni di attività: 370 medici, oltre 4mila bambini operati, oltre 400 professionisti formati in loco. Come fate?
Uno dei nostri punti forza è quello di creare la stessa organizzazione in ogni Paese, con gestione autonoma. Ad esempio, Emergenza Sorrisi Burkina, o Emergenza Sorrisi Benin, hanno un accordo con il ministero della sanità per la sensibilizzazione, la prevenzione di patologie in tutto il Paese. Questo ci dà modo di relazionarci con le istituzioni in maniera più agevole. Dobbiamo poi superare i problemi di natura burocratica, per l’ingresso dei materiali (5/6 valigie con strumenti chirurgici, farmaci), curare il rapporto con i medici locali e con le istituzioni sanitarie del Paese. Ci può essere un po’ di gelosia, bisogna che ci poniamo sempre come ospiti graditi, perché il Paese ospitante ci veda come una risorsa e non come un pericolo. Poi c’è il rapporto con le famiglie: dare il proprio figlio in mano a un estraneo non è facile e da parte dei nostri medici ci vuole un grande impegno per stabilire un rapporto di fiducia.
A consuntivo di questi 10 anni, una sua considerazione personale.
Si tratta di svolgere un’attività col cuore. Non solo con le mani. Per questo credo che la robotica in chirurgia può arrivare solo fino a un certo punto, e che non si arriverà mai alla sostituzione uomo-robot, perché… un robot non può metterci il cuore.