Media: tanti acquisti, scarsi utilizzi
Nel salotto buono delle abitazioni di tanti italiani, i mobili con vetrina spesso custodiscono in bella mostra una tale quantità di bicchieri pregiati, che viene da dubitare del loro effetivo utilizzato. Finiscono per diventare un puro corredo ornamentale, e sembra improprio un loro uso, anche in occasione del matrimonio del primo dei figli. Negli ultimi tempi – documentano le più recenti indagini – gli italiani hanno fatto compiere alla propria dimora un balzo in avanti: non più solo cristallo, ma anche tecnologia. Abbondano televisori (almeno uno nel 98,7 per cento delle case) e apparecchi radio (95 per cento), telefoni cellulari (85,1) e videoregistratori (70,2), computer (43,4) e collegamenti a Internet (30). Insomma, un vero e proprio affollamento mediatico, cui va aggiunta la massiccia presenza di libri (77,7), quotidiani (71,8), riviste (59,5 per cento). E senza considerare telefax e antenne satellitari, decoder e lettori dvd, consolle per videogiochi e quant’altro è servito a configurare tanti quieti e anonimi domicili in complessi terminali multimediali. La radiografia emerge dal primo rapporto annuale sulla comunicazione, una novità nata dalla collaborazione tra l’autorevole istituto di ricerca Censis e l’Ucsi, l’unione cattolica della stampa italiana, che si sono proposti di analizzare nel tempo l’uso dei media nelle famiglie italiane. Dal rilevante campione di ventimila nuclei, emerge che gli italiani sono affetti da un’incontenibile spinta al possesso dei più diversi mezzi di comunicazione. Forse è il timore dell’analfabetismo nei confronti della glo- balizzazione mediatica o la preoccupazione di non disporre di strumenti fondamentali per mantenere un raccordo con una società in evoluzione. “Non si vive, per fortuna, di soli media – riconosce, con una punta d’ironia, Emilio Rossi, presidente Ucsi -. Ma, ci piaccia o meno, si vive anche e sempre più di media. Oggi la comunicazione è uno dei settori in assoluto più importanti della società”. Attrezzati di tutto punto, dunque, gli italiani corrono verso il futuro con i media quasi sempre spenti. Eh, sì, questo è il dato singolare che emerge dall’indagine: non mancano gli strumenti, ma è decisamente modesto il grado effettivo del loro utilizzo. Come i bicchieri del salotto! Solo una piccola parte dei possessori sa fare “un uso consapevole di un’ampia gamma di mezzi, impiegandoli per quello che possono dare, mostrando di aver capito – chiarisce lo studio del Censis – anche come e quando è conveniente usarli”. Gli altri utenti appaiono invece disorientati dalla molteplicità di tecnologie, mezzi, linguaggi che tendono sempre più ad assediarli. Lo spartiacque che, nell’uso dei media, divide gli italiani è perciò di natura culturale. Insaziabili fruitori di tutti i media e pionieri dei nuovi sono, invece, i giovani, soprattutto maschi (due su tre). E qui si verifica l’inversione di tendenza. Essi passano con perizia e frequenza d’uso da Internet alla radio, dal cellulare al decoder, dai libri ai mensili. Emerge, in particolare, un tratto comune nelle nuove generazioni: sono “più attivi e disinvolti” nei riguardi dei nuovi mezzi, “più superficiali e distratti” nei confronti dei mezzi tradizionali. Leggono, in definitiva, molto poco i quotidiani, e nelle scelte televisive mostrano “ridotta attenzione per i notiziari e minima per la politica”. “Molti analisti prevedono – avverte Giuseppe Roma, direttore del Censis – che la vera mutazione del futuro non è rappresentata dalla società dell’informazione, ma dal cambiamento dei rapporti tragenerazioni “. In altre parole, linguaggi e gusti dei giovani saranno sempre più lontani da quelli degli adulti. “È un elemento di fortissima preoccupazione – ammette Paolo Serventi Longhi, segretario della federazione della stampa – il fatto che i notiziari di carattere generale interessino soprattutto i maschi adulti, solo in parte le donne e per niente i giovani. Il rapporto di questi ultimi con l’informazione è un problema ancora drammatico”. Analoga posizione per Sebastiano Sortino, direttore generale della federazione editori giornali: “I giovani sono il problema. Lo ripetiamo da anni ma facciamo solo giornali generalisti. Si aumentano enormemente gli spazi dedicati allo sport perché così si aggancia la fascia giovanile in famiglia, ma non riusciamo a diffondere a livello dei giovani l’abitudine all’informazione”. Tutti gli sforzi profusi nei mezzi di comunicazione sono volti infatti a tenere insieme i tanti pubblici che compongono il grande pubblico. Da qui, il tentativo – in televisione è particolarmente visibile – di informare e divertire ad un tempo, attirando la gente a confrontarsi su argomenti seri, unendo l’approfondimento alla ballerina, il comico all’intervista. “Mi chiedo – commenta Gad Lerner, già direttore del Tg1 – se questo tipo di informazione e comunicazione che mescola un po’ di tutto non respinga, viceversa, un’ansia di conoscenza e di riflessione più rigorosa che invece emerge tra i giovani, ma che non trova risposta nel modello attualmente proposto”. Il rapporto appena uscito può favorire, al riguardo, un’opportuna riflessione. Età e istruzione fattori discriminanti Alla periferia dell’impero mediatico si trovano 5 milioni di italiani, per due terzi donne, in gran parte anziane, con scarso livello di istruzione. Usano un solo mezzo di comunicazione che, nel 91 per cento dei casi, è la televisione e da essa sono spesso dipendenti. All’altro estremo, secondo la ricerca, c’è un gruppo elitario (1,5 milioni di connazionali), per due terzi maschile, giovanile, colto, che utilizza con abilità otto o più media, con particolare predilezione per il computer. In mezzo ci sono due grandi gruppi: uno, composto da oltre 19 milioni di persone, vera e propria classe media, che segue televisione e radio, ma legge anche i quotidiani; un secondo, con oltre 16 milioni di utenti, che segue tivù e radio, legge i giornali e non rinuncia ai libri. Un’ultima formazione raggruppa sette milioni di italiani, “la futura classe dirigente”, come viene definita dal primo rapporto sulla comunicazione: uomini e donne in equilibrata percentuale, piuttosto alto il livello d’istruzione, collocazione geografica ben distribuita sul territorio nazionale, padronanza di sei, sette media. Come si vede, la televisione resta l’esperanto mediatico che consente di parlare sia a chi è ai margini dell’impero, sia a chi padroneggia le novità tecnologiche. L’età è il grande elemento discriminante: diminuisce infatti l’abitudine ad usare più media a mano a mano che cresce l’età. Determinante, inoltre, il livello d’istruzione, mentre gli occupati usano più media dei disoccupati, e gli studenti più di pensionati e casalinghe. Insomma, non è influente la quantità di tempo libero a disposizione. De Rita: Cultura vecchia ed effetti speciali “Quello che oggi manca al mondo della comunicazione di massa è una cultura editoriale”, sostiene Giuseppe De Rita, segretario del Censis. “Non si capisce chi fa l’editore, cioè chi elabora una linea e il nuovo da mettere dentro la comunicazione. Prendiamo ad esempio la fiction: ormai è stato prodotto tutto sulle più diverse categorie, dalle commesse ai carabinieri. E poi, dove andiamo? Mio fratello, sceneggiatore, fa evoluzioni di questo genere: ha fatto Cuore, e sta facendo I ragazzi della Via Paal; ha fatto Padre Pio e Enzo Ferrari e adesso prepara la Petacci. E dopo? “Questa ripettinatura del passato ad uso della fiction sta riproponendo la cultura editoriale di tipo vecchio tenuta in vita dagli effetti speciali. E allora anche i delitti di Novi Ligure e di Cogne diventano un effetto speciale, non sono dati più solo come notizia, perché devono provocare emozioni particolari. “Ho inoltre l’impressione che ci sia una voglia di ritornare all’emozione vissuta insieme nello stesso luogo.Vedi il Palavobis, il girotondo, il sindaco e gli abitanti di Cogne. E cosa fa la comunicazione di massa? Assorbe e ingloba, cosicché l’informazione e l’approfondimento diventano indistinti e non si sa quanto sia valido, ad esempio, il programma di Vespa su Cogne”.