Medaglie olimpiche a rischio
Conservate questo numero della rivista: fra dieci mesi, rileggendo questo articolo, potrete gioire o sorridere con una certa ironia, a seconda. Alle Olimpiadi di Atene l’Italia vincerà 7 medaglie d’oro, 8 d’argento, 12 di bronzo: fanno 27 medaglie, 7 meno che a Sydney, 8 meno che ad Atlanta. Non ci credete? Nemmeno noi vogliamo crederci, eppure quello che sembra un sinistro balletto di cifre, è un rapporto serio, compilato da un ufficio del Coni, l’Ufficio Proiezioni, deputato, con i suoi pronostici, non a fare “tredici”, ma ad aiutare la grande macchina della preparazione olimpica a pianificare gli ultimi mesi di lavoro ed a distribuire gli ultimi spiccioli di finanziamento. Ed a smorzare inutili illusioni di qualche settore sportivo azzurro. Ma come hanno fatto? Il criterio usato, semplice ed efficace, tiene conto dei risultati ottenuti dai nostri atleti negli ultimi campionati mondiali, delle diverse discipline olimpiche, con congruenti proiezioni su Atene. Sui dirigenti del Coni la ricerca ha prodotto la medesima inquietudine che può venire da un sondaggio negativo alla vigilia delle elezioni. La doccia è stata ancor più fredda allorché qualcuno ha ricordato che meno di un anno fa le stesse proiezioni vedevano al collo degli azzurri ben 35 medaglie. Suonato l’allarme, è scattato l’invito a tutti gli addetti ai lavori a rimboccarsi le maniche e a darci sotto. Ma come è potuto accadere? Non abbiamo forse appena riscosso importanti successi iridati nella scherma, da sempre disciplina nostro fiore all’occhiello ai giochi olimpici? Sì, a squadre nella sciabola femminile e nel fioretto maschile, guarda caso due armi non olimpiche. La scherma resterà comunque la nostra disciplina principe, in crescita si presentano le speranze nella vela e nel tiro con l’arco, mentre sarà difficile sperare ripetere i successi ottenuti da nuoto e canoa a Sydney, anche se quest’ultima ed il canottaggio po- tranno modificare fino all’ultimo la composizione degli equipaggi. Se l’atletica non brilla, la ginnastica offre nuovi giovani talenti. In un panorama sportivo mondiale alquanto effervescente, molte delle 200 nazioni iscritte alle prossime Olimpiadi hanno già cominciato a mostrarsi più agguerrite che mai: Corea del Sud, Giappone, Ungheria minacciano di far retrocedere l’Italia dal settimo al decimo posto nel medagliere. Interrogativi ancora più inquietanti rischiano di aprirsi per Pechino 2008: la crisi di risultati nello sport di vertice italiano è un segnale del declino progressivo del numero di praticanti lo sport agonistico nel nostro paese, legato al crollo dei finanziamenti. La crisi economica del nostro sport è cominciata nel ’97, allorché per preparare gli azzurri per Sydney fu necessario che il governo stanziasse un contributo straordinario di 125 miliardi di lire. Dall’anno successivo il Coni, con la perdita delle rendite dal totocalcio, ha chiuso i rubinetti alle federazioni, lasciandole a secco per tutto ciò che riguarda l’attività ordinaria, picconando, in tal modo, le strutture portanti del sistema di produzione di atleti. Con questi quattro, cinque anni di apnea sta per andare praticamente persa quasi una generazione di atleti, un’emorragia di cui non tarderemo a vedere gli effetti. “I tagli dei contributi alle federazioni – ha ammesso Raffaele Pagnozzi, segretario generale del Coni, in occasione della diffusione delle proiezioni – hanno costretto tutti a concentrare le risorse sugli atleti di vertice, su ciò che avevano già pronto. Ma nessuno ha potuto più investire sui raduni giovanili, sulla formazione dei tecnici, sull’attività che seleziona e fa crescere gli atleti”. Eppure al Coni non hanno perso le speranze: se il nostro sport, ormai al verde (400 milioni di euro l’esposizione con le banche), non può fare investimenti, “le federazioni dovranno impegnarsi allo stremo – ha detto ancora Pagnozzi -. E noi faremo del nostro meglio”. In pratica si sta cercando di drenare ogni risorsa residua verso la preparazione olimpica, un budget di 60 milioni di euro nel biennio 2003-2004, centralizzando i criteri di erogazione di contributi: soldi solo a chi può vincere e non più a pioggia come in passato. L’élite viene raggruppata nel Club Olimpico, una struttura cui accede solo chi ha concrete possibilità di podio olimpico: per ora sono inseriti solo 118 atleti (dei 470 che andranno ad Atene), per ciascuno dei quali è pronto un contributo di 10.000 euro. Ma il Club è aperto a nuovi ingressi: il mezzofondista Andrea Longo, dopo l’ottimo mondiale di atletica è l’ultimo arrivato. Le federazione più finanziate sono oggi il nuoto, l’atletica, il canottaggio. Il criterio chiuso dei finanziamenti ai vincenti ha molto il sapore del male minore, non alimenta prospettive rosee per la promozione sportiva ed apre non pochi rischi a chi governa: nel 2005 ci saranno le elezioni del Coni e si può intuire quali pressioni potranno accendersi, visto che votano tutti, ricchi e poveri, vincitori e perdenti.