Maxim Vengerov, star del violino
Maxim Vengerov ha registrato il suo primo concerto a dieci anni. Ora è uno dei più grandi violinisti del mondo, superimpegnato come direttore d’orchestra, insegnante, fondatore di eventi, ambasciatore dell’Unicef. Sentirlo suonare il suo Stradivari del 1727 è una delle esperienze più belle per chi ama la musica e il violino.
Vengerov, quando affronta Brahms, estrae un suono pastoso, malinconico talora, pieno comunque di energia. Basta ascoltarlo nelle Sonate n. 1 e n. 3 a Roma, al Teatro Argentina, dove è tornato dopo 14 anni di assenza, con un pubblico capace di un silenzio raro. Brahms, l’ultimo dei classici, per Vengerov è denso, vitale, un poco ombroso, ma con degli scatti imprevisti che affascinano. Mai però teso, perchè la sua è una musica piena di sottintesi.
Quando Maxim affronta, con la pacatezza che lo contraddistingue, senza alcuna gigioneria, la Sonata n. 2 di Ravel (1923-1927) sembra un altro. Ravel, si sa, è elettrico, raziocinante, imprevedibile, con il Moderato Blues così moderno e l’Allegro Perpetuum mobile così graffiante. Vengerov estrae il fuoco, grazie ad una perfezione tecnica stupefacente. Essa ovviamente si sfoga con Paganini. Del compositore ligure esegue il Cantabile in re maggiore, dalla sensualità rossiniana, e poi le Variazioni sul tema Di tanti palpiti sempre dell’amico Rossini.
Inutile dire la gioia di questi fuochi d’artificio violinistici, zeppi di scoppi, luci, rombi in un arcobaleno cromatico inebriante, eppure capace a tratti di dolce malinconia. Vengerov non tralascia nulla dell’universo di Paganini, ci immette dentro senza fatica e ci riempie della sua festa sonora, accompagnato perfettamente dalla pianista Poliona Osetinskaya. Alla fine, inevitabile l’uragano di applausi. Speriamo ritorni presto da noi.
Il concerto rientra nella stagione dell’Accademia Filarmonica Romana.