Max Weber e la vocazione alla politica
Qual è la vocazione alla politica? Può rispondere a tale chiamata «solo chi sa che non crollerà quando il mondo, dal suo punto di vista, sarà troppo stupido o troppo infame per quel che lui vuole costruire. Soltanto chi, di fronte a tutto ciò, può dire: “A dispetto di tutto!”».
Sono parole pronunciate nel 1919 da Max Weber, sociologo tedesco, tra i fondatori della sua disciplina, nella celebre lezione “La politica come professione” (Politik als beruf, ma beruf, in tedesco, è un misto fra “professione” e “vocazione”). Weber avverte il suo pubblico che ci saranno sempre uomini e donne abbastanza vili o sprovveduti da rendersi complici di figure carismatiche che cavalcano l’odio religioso o razziale. Ma insisteva di non disperare.
All’inizio del 1919 la Germania rischiava il default. La fine della Prima guerra mondiale si era trasformata in guerra civile: rivoluzionari contro reazionari, internazionalisti contro nazionalisti, civili contro militari. Monaco era teatro di scontri sanguinosi.
In questo contesto Weber parla dell’ascesa dei partiti moderni in Germania, Regno Unito e Stati Uniti. L’avvento dei nuovi attori mostrava quanto la politica fosse diventata burocratica e razionale. Il personale politico, ormai, vive di politica (cioè di stipendi), piuttosto che per la politica (cioè di ideali da attuare). Weber osserva che per un politico la ricerca del potere è normale, ma è pericolosa quando «cessa di essere oggettiva per diventare una intossicazione personale».
Weber tocca il tema del “carisma”, concetto ripreso dallo studio dei testi biblici e poi introdotto nella sua opera maggiore, Economia e società. In genere, si pensa che il carisma uno ce l’abbia oppure no. Il sociologo tedesco evidenzia invece che il carisma è una qualità relazionale, importante ma passeggera. È proprietà di un certo leader, ma anche dipendente dallo sguardo degli altri. La persona carismatica possiede «una forza rivoluzionaria e creativa nella storia». In questo senso per Weber, d’accordo con Nietzsche, i leader carismatici sono in grado di padroneggiare passioni e polarità di un’epoca storica per creare nuove sintesi. Tuttavia questi leader, come le passioni, sono evanescenti.
Un passaggio interessante è il ritratto di coloro che cercano il potere per fini etici. Ci sono i politici ispirati da “etica delle convinzioni assolute” e altri da “etica della responsabilità”. Per il primo tipo, Weber intende coloro che non si pongono il problema delle conseguenze derivanti dal perseguire le proprie convinzioni. Il fine supera ogni altra considerazione: di fronte al male si faccia il bene, sempre! Questo tipo di politico giustifica persino il sacrificio di se stessi e degli altri, purché «la fiamma delle pure intenzioni non sia estinta». Per il secondo tipo, Weber intende invece quei politici che hanno a cuore le conseguenze delle proprie azioni. La persona che segue questa etica deve valutare tutte le alternative possibili con gli effetti che ne derivano: di fronte al male si opponga la forza! Weber evidenzia come queste due etiche sono inconciliabili, anche se vocazione del politico è tenerle insieme: «Esse si completano a vicenda e solo congiunte formano il vero uomo, quello che può avere la vocazione alla politica». Guai ad essere soggiogati dall’una o dall’altra.
Il politico di professione, tuttavia, ha un nemico mortale: la vanità. Infatti, per la politica ci sono due peccati mortali: l’assenza di una causa che giustifichi il potere e la mancanza di responsabilità nell’esercitarlo. La vanità, cioè l’inclinazione a mettere se stessi in primo piano, induce il politico a commettere o uno o entrambi gli errori.
Il demagogo è vittima della vanità, «in costante pericolo di diventare un attore», preoccupato più dell’impressione da offrire al pubblico che di assumere «la responsabilità per le conseguenze delle sue azioni». Tale mancanza di obiettività «lo fa cadere nella tentazione di lottare per l’affascinante apparenza del potere piuttosto che per il potere reale», cioè la causa per la quale lotta. Weber, invece, raccomanda di coltivare l’interiorità e di vivere per la politica, più che di politica. Weber non scriveva ai tempi dei social. Eppure allora come oggi, nonostante scelte disumane o stupide, continua a proclamare la vocazione alla politica «a dispetto di tutto!». In questo c’è tutta l’attualità di quella conferenza di 100 anni fa, nel marasma alla vigilia del nazismo.