Max Giusti, di padre in figlio
È un autentico “one man show”. Non solo comico, intrattenitore, presentatore televisivo e radiofonico (insuperabili le sue imitazioni a SuperMax su Radio2!), ma anche cantante. Dopo anni di televisione, di “Quelli del calcio”, di “pacchi” serali con “Affari tuoi”, e di un recente infortunio che l’ha tenuto fermo per un po’ di tempo e lontano dalla scena, il popolare e brillante attore romano è ritornato sulle tavole del palcoscenico imbastendo una commedia scritta da lui stesso – e con Lolli, Pallottini, Rinaldi, la regia di Marco Carniti, le musiche di Gaetano Curreri e le coreografie di Kristian Cellini – in cui affronta un argomento serio, che parla della veridicità dei sentimenti: e cioè il rapporto tra padre e figlio.
E Di padre in figlio è il titolo dello spettacolo in cui l’attore, tra musiche, luci colorate, proiezioni, e brillanti coreografie, si concede, tra una gag e un’improvvisazione, un’imitazione e qualche accenno di danza, anche qualche canzone. Ed è un fiume in piena, con solo qualche breve pausa di respiro, nella narrazione che lo vede parlare col figlioletto appena nato e che culla sulla carrozzina trasportandola da una parte all’altra della scena, contornato da sei ballerine che appaiono di volta in volta in costumi diversi e carrozzine in mano.
Tutto nasce dalla domanda: ''Quando si diventa padri, si smette di essere figli?''; e: ''Un uomo può ancora sognare avendo una simile responsabilità in tempi senza futuro come oggi?''. Il protagonista è un attore, un quarantenne precario che ha perso il famoso “treno” per realizzare il suo sogno. Aspettando la telefonata di un amico che gli dovrà comunicare se è stato preso per un film americano, nel frattempo porta il pargolo dal padre ricoverato in ospedale per accertamenti, per farglielo conoscere.
Nella sala d’attesa – una bianca pedana centrale con dietro il numero a caratteri cubitali della stanza ospedaliera che campeggia in alto – egli racconta al bimbo chi è il nonno. Poetico e malinconico, ironico e irriverente, con tanti aneddoti famigliari e con riferimenti e battute che chiamano in causa anche personaggi, fatti e misfatti dei giorni nostri, il mattatore rievoca il passato per scoprire quante cose sono cambiate in quarant’anni nell'educazione dei figli. La constatazione del cambiamento avvenuto nel modo di educare, di parlare con loro e di approcciarli, di assumere nuove responsabilità di padre, diventa così un passaggio di consegne, di verità, di emozioni e di sentimenti all’insegna del sorriso.
Al Sistina di Roma fino al 13 aprile. In tournée.