Mauri-Sturno in un omaggio a Beckett

Al Piccolo Eliseo di Roma fino al 21 aprile e poi in tournée, un omaggio appassionato a Beckett, di cui vengono proposti quattro testi: “Respiro”, “Improvviso dell’Ohio”, “Atto senza parole” e “L’ultimo nastro di Krapp”
Teatro Glauco Mauri e Roberto Sturno in Da Krapp a Senza parole

Ha tutte le caratteristiche di una piccola preziosa antologia. Che ha il valore di introdurre, per chi non lo conosce a fondo, e quindi le nuove generazioni, nel mondo di un autore. Si tratta di Beckett, dell’omaggio appassionato che la coppia artistica Glauco Maurie e Roberto Sturno, ha ricavato dall’assemblaggio di alcuni testi dell’autore irlandese, incluso un breve prologo che cita altri suoi testi. All’inizio, infatti, i due attori compaiono dentro due bidoni (quelli “Finale di partita”) e parlano rimandando ai personaggi di “Aspettando Godot” o di “Giorni felici”, riportando pensieri e dichiarazioni dello stesso Beckett mentre si materializza la sua immagine proiettata.

Già nel 1991 i due attori avevano creato uno spettacolo simile, “Dal silenzio al silenzio”, indagando, con altri testi, sempre la scrittura di Beckett. Ora vi ritornano con “Da Krapp a Senza parole”, che racchiude, oltre al “Prologo”, quattro testi: “Respiro”, “Improvviso dell’Ohio”, “Atto senza parole”, e “L’ultimo nastro di Krapp”, quest’ultimo oggetto di indagine di Mauri che lo mise in scena, primo in Italia, nel 1961.

Il folgorante “Respiro”, si consuma in trentacinque secondi netti. Sulla scena, come paesaggio, un cumulo di immondizie dal quale sale il vagito di un bambino che si sveglia, che sfuma nel rantolo della morte. L’uomo e la vessata terra indissolubilmente legati.

“Improvviso nell’Ohio” è una ricerca sul passato, con l’uomo che cerca conforto. Due vegliardi che sembrano gemelli, dalle folte chiome bianche e dai lunghi pastrani, siedono ad un tavolo con un grande libro. Con la testa sempre abbassata, l’uno legge gli ultimi brani di vita all’altro che ascolta e gli dà il tempo guidando col battere delle nocche i ritmi e le ripetizioni della lettura. In questa avvertibile coincidenza di identità fra i due, se la prima battuta è “Poco rimane da dire”, l’ultima non potrà che essere “Nulla rimane da dire”. L’uomo è finito a essere solo il registratore di se stesso.

Nella bianca scena di “Atto senza parole”, il bravissimo Roberto Sturno, in silenzio, è costretto a muoversi a colpi di fischietto da qualcuno fuori scena, un’invisibile dispettoso regista, che gli fa apparire e subito gli sottrae gli oggetti e le cose di cui ha bisogno per vivere o per morire (dalla bottiglia d’acqua sospesa al cappio per potersi impiccare). L’uomo beffato e ingannato trova la sua commovente dignità nel rifiuto e nella voluta solitudine.

Infine “L’ultimo nastro di Krapp”. In una stanza in cui c'è un tavolo su cui sono poste scatole di bobine e un armadio, illuminata da una lampada, un anziano misura la sua disillusione e la sua distanza da come era a com’è, ascoltando ogni compleanno da un magnetofono: gli appunti registrati della sua vita passata quando “la felicità era, forse, possibile”. Il testo, che riflette l’autobiografia artistica dell’autore, diventa per Mauri anche quella dell’interprete. Egli, infatti, dialoga e si confronta con la sua vera voce da giovane registrata all’epoca della prima rappresentazione, sovrapponendo, così, alla memoria beckettiana la propria stessa memoria. E nella voce scavata, nelle espressioni umanissime, nei gesti carichi di vissuto di Mauri scorre una qualità d’attore di struggente intensità. Una metafora della vita che oltrepassa il singolo individuo.

Al Piccolo Eliseo di Roma, fino al 21 aprile

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