Mattoni e ambra

Articolo

L’ora non è tarda ma il sole pallido nell’autunno baltico è già basso all’orizzonte. Gli amici che mi accolgono all’aeroporto da subito mi fanno sentire a casa. Nessuna terra ti è straniera quando ad attenderti c’è qualcuno che ti vuol bene. Vorrebbero partire immediatamente per Kaunas, la città dove si terrà il convegno che mi ha attirato in Lituania.Ma oggi è il 16 novembre! In aereo, sfogliando i miei appunti, ho notato che è il giorno di festa del santuario di Auros Vartai, la Porta dell’aurora, costruito sulle mura fortificate di Vilnius, che furono distrutte dai russi, in una delle periodiche invasioni; ma la porta è ancora lì, intatta, e sul muro che guarda la città rimane l’immagine della Madre di Dio, coperta con una riza d’argento che lascia scoperti volto e mani alla Vergine ritratta nell’incanto del concepimento. Nel 1600 sulla porta, attorno all’icona, la prima cappelletta di legno a proteggere quella che i lituani presero a chiamare Madre della misericordia. Salgo lungo la scala che fiancheggia la strada e che conduce su in alto, dalla Madre. La trovo attorniata da pareti d’argento con i mille ex voto che brillano ai raggi del sole ormai rosso del tramonto. Ma soprattutto è attorniata da gente in preghiera, inginocchiata: vecchie con i foulard legati stretti sotto il mento che sembra non abbiano fatto altro nella vita che sgranare rosari, giovani donne eleganti, ragazzi incantati, uomini seri appoggiati alla vetrata che si segnano rapidi, il popolo fedele che nessun regime è riuscito a piegare. Ora che anch’io, come un vero lituano, mi sono affidato alla Madre, posso partire per Kaunas, nel cuore del paese. La nipote del Kazakistan Non conosco ancora l’autista che guida la macchina. Le chiedo il nome e devo farmelo ripetere. Si chiama Asta, sì, proprio Asta. Visto che bel sole le abbiamo fatto trovare?, mi dice in un perfetto italiano. Le domando di lei, ed ecco uno squarcio di vita, che comincia con la storia dell’ultimo zar di Russia che dalla Germania fece venire in Ucraina famiglie di tecnici e agronomi con macchine e tecniche nuove per incrementare l’agricoltura di quella regione. La rivoluzione bolscevica portò drammatiche conseguenze anche alle famiglie tedesche, deportate in Kazakistan. Isolati nella repubblica asiatica, le nuove generazioni di tedeschi, rimaste legate alla fede cattolica, rivolsero un appello alla Chiesa lituana: nonostante la religione sia bandita, voi che avete anco- ra preti e suore, perché non ci mandate qualcuno a sostenerci? Si innesta qui l’avventura di Asta che negli anni d’università segretamente è diventata suora. Neppure i genitori sanno perché la figlia abbia deciso di non sposarsi. Meno ancora capiscono perché voglia trasferirsi a 5 mila chilometri da casa, in una di quelle lontane e misteriose repubbliche asiatiche dell’impero sovietico. Asta ha infatti deciso di rispondere all’appello che giunge da là. Con altre tre compagne si presenta all’ufficio immigrazione. Le due donne più giovani si dichiarano nipoti delle due più anziane, qualificate rispettivamente come la nonna e la zia. Queste ultime sarebbero state bisognose di un clima più caldo, e le nipoti erano disposte ad andate a vivere con loro in Kazakistan. Ma dai documenti non risultavate parenti… , faccio notare. I russi hanno sempre fatto difficoltà a ca- pire i nostri nomi, mi risponde. Ecco Asta nella città di Almata. Trova lavoro alla biblioteca nazionale mentre l’altra finta nipote fa l’infermiera. Nelle case delle famiglie tedesche insegnano il catechismo ai bambini, guidano la preghiera degli adulti, accompagnano i malati e aprono il cielo ai morenti. Così per dieci anni, fino a quando l’Unione sovietica si sfalda. I tedeschi possono tornare in Germania e Asta in Lituania. E la lingua italiana?, le chiedo. Ho studiato teologia quattro anni a Roma, dal 1991 al 1995. In quegli anni anch’io insegnavo in quella università. Certo, professore, non si ricorda di me?. Un’altra alunna, un’altra delle centinaia che ritrovo in tutto il mondo, in tanti miei viaggi… I mattoni di padre Severino Fa notte quando arriviamo a Kau-nas. Scendo dalla macchina e davanti si erge la massiccia fortezza di Vytautas, il granduca che agli inizi del 1400 portò la Lituania al suo massimo splendore. Un castello tutto mattoni, come interamente di mattoni è costruita la chiesa contigua e il convento dei frati. Il mattone lo rivedrò poi negli edifici antichi del centro città come nell’elegante castello di Trakai. Un paese appena ondulato, senza pietre, la cui più alta montagna è di 220 metri, costruisce col mattone. Passo la mano sulle architetture e le decorazioni in cotto che rendono elegante la costruzione di per sé massiccia e solida del convento. È il mio lavoro di anni, bisbiglia con fare schivo Severino, il frate che mi ha accolto all’aeroporto e che mi ha condotto fin lì. Venne in Lituania subito dopo l’indipendenza per restaurare l’antico convento di Kaunas, ridotto in rovina dalla incuria del precedente regime. Tolse con pazienza l’intonaco, riportò alla luce mattoni e archi e finestre gotiche.Ma un convento non è tale senza i frati. L’opera più grande di padre Severino non è infatti il restauro del convento, ma la rinascita dei francescani. Nell’antica cappella ne trovo otto, tutti giovani, con il loro saio semplice e solenne. Portano i capelli lunghi sciolti sulle spalle o annodati dietro la nuca, come gli antichi abitanti di queste terre. Massicci nelle sagome, mi ricordano gli antichi guerrieri che hanno conquistato le terre fin al mar Nero. Ma il volto è quello pulito e sorridente di frate Francesco. Tutti pensavano che cinquant’anni di comunismo sovietico avessero estirpato per sempre la vita religiosa. Frati e suore erano stati dispersi, imprigionati, deportati. Proibiti nuovi ingressi. Monasteri, conventi, case religiose erano stati distrutti, confiscati, lasciati andare in rovina o trasformati in centri psichiatrici, depositi di materiali più vari. I pochi religiosi rimasti erano ancora visibili, ma si erano trasformati in clero diocesano, strettamente legato a una parrocchia. Impensabile che le religiose esistessero ancora. Ma, come il grano germina sotto la neve, nella clandestinità, sotto la crosta della repressione atea, erano nate e cresciute nuove vocazioni. È bastata la primavera della libertà per veder spuntare da ogni parte religiosi e soprattutto religiose. Quindici anni fa donne comuni, come tutte le altre, da sempre conosciute come la commessa, la professoressa, la dottoressa, l’autista del bus, la vicina di casa di punto in bianco si presentarono al loro posto di lavoro o presero ad andare per strada con il velo o comunque con un segno distintivo che le mostrava per quello che erano: delle suore. L’ambra e il tesoro lituano Al mattino il profondo silenzio mi risveglia presto. Lo conosco, è quel silenzio intenso che solo la neve sa orchestrare. Guardo alla finestra e una grande luna sorniona mi mostra compiaciuta, rischiarandola, la distesa calma della neve. Gli amici hanno esaudito il mio desiderio! Ho ancora poche ore prima che inizino i lavori del congresso, quanto basta per una passeggiata nella città antica ancora insonnolita. Sulla porta di un negozio di souvenir un uomo sorridente mi dona tre pietruzze di ambra, la resina fossilizzata da un lavoro di milioni d’anni, ricchezza e simbolo della Lituania. Mi mostra la chiesetta di santa Gertrda, un piccolo gioiello in cotto. Il regime ateo avrebbe voluto distruggerla. Ingegnosamente un gruppo di intellettuali la sommerse sotto cataste di legname. Sembrò un enorme deposito per l’edilizia e nessuno ci pensò più. Io stesso, quando ero ragazzo, passavo di lì e non sapevo che quell’ammasso di legna nascondesse un tesoro. Si è fatta l’ora di iniziare il congresso al quale sono stato invitato a parlare, il primo del genere. Religiose e religiosi di tutti gli ordini si incontrano per conoscersi e farsi conoscere. Il lungo periodo di clandestinità li ha resi riservati, schivi.Ma è ormai tempo di uscire allo scoperto. Dopo una giornata a porte chiuse, nei locali della curia arcivescovile, continuano il convegno in piena luce, nell’aula magna dell’università statale, sotto i riflettori di sei reti televisive. Condividono le esperienze, i sogni, i progetti. Il primo a parlare è un gesuita. Il suo lavoro tra i giovani, in un periodo in cui era proibito ogni tipo di contatto con la religione, suscitava serie preoccupazioni negli ambienti dei servizi segreti e politici. Inutili le intimidazioni. Gli fu allora interdetto ogni tipo di ministero sacerdotale e fu mandato a lavorare nei campi come contadino. La conseguenza fu che il suo ascendente sui giovani crebbe a dismisura. Venne così la Siberia. Per dieci anni. Ora è l’arcivescovo di Kaunas. Sorridente, semplice, vicino alla gente, è il ritratto di una persona che ha trovato la pace e che sa irradiarla. Con lui i trecentocinquanta religiosi e religiose riunite in convegno e gli altri settecento che vivono nel paese si sentono spinti a mettersi sempre più a servizio della società per custodirne i valori ed aprirla alla novità del Vangelo. È il tesoro nascosto, ora venuto alla luce, di questo popolo cristiano. Un tesoro di persone, ben più prezioso dei suoi monumenti e della sua pur bellissima ambra.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons