Una mattina d’inverno sulle rive di Bolsena
Il cielo di stamani è grigio e in trasparenza lascia scoprire i raggi di un sole bianco. Bolsena, con il suo castello, i campanili, i suoi tetti, si erge, nobile e compatta, sopra una collina ricoperta da olivi ordinati, come in un giardino. ll lago, ai suoi piedi, riposa di una calma invernale: ristoranti e chioschi chiusi, barche a vela attraccate in porto, rari passanti che affrontano il lungolago coprendosi la faccia sotto cappelli di lana e sciarpe. C’è vento, molto vento. Sono refoli gelidi che pattinano veloci sopra il lago ignaro e immobile, ti raggiungono la pelle, gli occhi e li pungono, costringendoti ad affrettare il passo, verso un qualunque luogo caldo e chiuso. In questa luce flebile e senza ombre – ma forse è una distorsione della vista causata dalle lacrime! – le isole Bisentina e Marta, si confondono con le rive opposte del lago.
È in quest’atmosfera rarefatta e silenziosa che uno comprende meglio il valore sacro che il popolo etrusco attribuì fin dal III sec. a. C. a questo lago, quando, in fuga dalla distruzione di Velzna, una tra le più importanti città etrusche, si insediarono lungo le sue sponde, creando una nuova città cui però ridiedero il nome di quella antica, che le fonti classiche ci hanno tramandato dalla forma latina di “Volsinii”.
Per molto tempo si è ritenuto che proprio lungo le sue rive, in una località non ancora identificata, sorgesse il mitico Fanum Voltumnae, il santuario federale etrusco, dedicato al Dio Voltumna, figura affine a quella di Giove, che rappresentava il mutare delle stagioni e governava alla maturazione dei frutti. Era il luogo dove ogni anno, in primavera, si riunivano i capi della Lega che raccoglieva i “dodici popoli”, la cosiddetta dodecapoli etrusca. Si racconta che il Fanum fosse il luogo dove veniva eletto il loro capo supremo, dove si prendevano decisioni politiche e strategie, dove si svolgevano riti e feste religiose.
Per conoscere meglio questo popolo e il suo territorio, conviene risalire la collina, attraversando il paese, magari concedendosi una sosta all’Oratorio di Santa Cristina che, a proposito di sacro, fu il luogo dove, nel 1263, avvenne il miracolo del Corpus Domini, le cui prove, portarono papa Urbano IV ad istituirne la festa, solo l’anno dopo.
Salendo ancora, in cerca di quel luogo “caldo e chiuso”, finalmente, in cima alla collina, si scoprono le torri medievali della Rocca Monaldeschi della Cervara che fu, fin dai tempi dei Longobardi, presidio e roccaforte a protezione della via Cassia, e che oggi ospita il Museo Territoriale del lago di Bolsena.
Non è propriamente un luogo caldo, ma almeno privo di vento e pieno di storia, etrusca e romana, anche preistorica. È qui che si scopre la genesi del lago e della sua bellezza.
Il lago di Bolsena, che è il lago vulcanico più grande d’Europa, nacque dal collasso, cioè dal crollo, circa 300.000 anni fa, dell’apparato vulcanico Vulsinio, che era composto da sette crateri. Un’incredibile esplosione lavica li fece ripiegare su se stessi, generando un’enorme caldera su cui in seguito si formò il lago.
È così che al viaggiatore raffreddato viene da pesare che bisognerebbe ricordarsi più spesso che gran parte della bellezza sacra della nostra storia e della nostra arte, poggia su una terra viva e che respira. Almeno, per averne più cura.