Matteo Ricci dichiarato venerabile
Il nome di Matteo Ricci forse non dice molto oggi in Europa, ma ha un significato assai importante per la Cina e, soprattutto, per la Chiesa cattolica. Ricci, infatti, era un gesuita vissuto a cavallo fra il XVI e il XVII secolo (Macerata 1552- Pechino 1610). Una vita travagliata ed avventurosa la sua, che lo portò, nel 1601, a raggiungere Pechino, dove venne accolto nella Città proibita ed apprezzato fino alla sua morte per le sue conoscenze scientifiche e culturali.
La stima nei suoi confronti era tale che gli fu tributato l’onore di essere sepolto – unico straniero a cui l’imperatore concesse tale privilegio – proprio nella capitale di quello che si definiva il Regno di mezzo.
Ancora oggi, Matteo Ricci – noto in cinese con il nome di Li Madou – è tra i pochi stranieri pubblicamente ricordati e onorati, al punto che il suo nome appare nei libri di testo delle scuole superiori e la sua tomba a Pechino – si trova all’interno del complesso della Scuola di marxismo-leninismo – è sopravvissuta a molte ondate di distruzione rivoluzionaria.
Il gesuita maceratese è uno dei rappresentanti più noti e riusciti della scuola gesuitica dell’adattamento del Vangelo, concepita da un altro grande gesuita di poco più anziano, Alessandro Valignano, anch’egli missionario in Asia, in Giappone. Questo gruppo di gesuiti, a contatto con le grandi culture asiatiche (induismo, buddhismo, daoismo, confucianesimo e shintoismo), compresero la necessità, da una parte, di distinguere ciò che in esse era culturale da quanto poteva, invece, essere considerato cultuale o religioso e, dall’altra, di adattare il vangelo e la sua presentazione alla sensibilità propria di tali ricchezze culturali.
Matteo Ricci, per esempio, riuscì ad introdurre il vangelo nel contesto del Confucianesimo attraverso la via dell’amicizia, oltre che del dialogo culturale e scientifico. Si trattava di elementi che resero possibile l’adattamento evangelico alla cultura e sensibilità locale. Infatti, nel 1595, dopo una serie di fallimenti che lo gettarono in uno stato di “malinconia” (così afferma lui stesso), Li Madou decise di scrivere il suo primo libro in cinese a cui diede il titolo: L’amicizia.
Divenne quello che potremmo definire il suo manifesto missionario, che gli aprì le porte del Regno di mezzo. Nel contesto confuciano, dove è fondamentale arrivare all’armonia dei rapporti, l’amicizia è una virtù principe. È l’ultima in ordine di merito – le altre sono i rapporti fra sovrano e sudditi, fra marito e moglie, fra padre e figlio e tra fratello maggiore e fratello minore –, ma l’unica che si basa sulla libertà.
Ricci riuscì a tessere una fitta rete di rapporti di amicizia. Questo gli permise di fondare comunità cristiane in cinque importanti città della Cina. Purtroppo la sua opera e quella di altri protagonisti della scuola gesuitica dell’adattamento furono coinvolti nella controversia cosiddetta dei Riti cinesi. Come nota lo storico Giovagnoli, tali riti erano espressione di una concezione della famiglia e di un’idea dell’ordine sociale che non erano né anticristiani né antiumani e Ricci li ritenne leciti sulla linea, poi raccomandata da Propaganda Fide dal 1622, di accettare la cultura di qualsiasi popolo in tutto ciò che non è contrario all’insegnamento cristiano.
Tuttavia, dopo una prima approvazione da parte del papa, i rituali di venerazione degli antenati furono condannati nel 1742 e solo due secoli dopo riconosciuti e ammessi da Pio XII, nel 1939.
Proprio questa associazione alla controversia dei riti, rese sempre problematica la figura di Ricci e improponibile una proposta per iniziare la causa di beatificazione di un protagonista della missione e dell’annuncio evangelico nello spirito del rispetto e della valorizzazione delle culture locali. In tempi recenti, a cominciare da Giovanni XXIII, tutti i papi si erano espressi in modo positivo sul gesuita italiano. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI ne hanno parlato in varie occasioni, e il gesuita papa Francesco, in questi ultimi anni, lo ha citato più volte come il missionario ideale, capace di inculturazione, di dialogo e apertura verso l’altro.
Altro aspetto insolito nella travagliata vicenda di questo profeta cristiano è la sede che ha curato la prima fase del processo canonico. Normalmente la causa di beatificazione si apre nella diocesi in cui la persona muore. Sebbene Matteo Ricci fosse morto a Pechino l’11 maggio 1610, a soli 57 anni, a causa della situazione particolare in cui si trova la chiesa in Cina, la causa di beatificazione è stata assegnata alla diocesi di origine, Macerata. Dopo vari ritardi e l’arenarsi del processo nel 2010, in occasione del 400° anniversario della morte, i tempi sembrarono finalmente maturi. Il vescovo Claudio Giuliodori riaprì il processo, che si è ora almeno parzialmente concluso con la decisione di papa Francesco di dichiarare Matteo Ricci venerabile.
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