Matteo Orfini: un Sì per rendere più forte il Paese
A pochi giorni dal referendum del 4 dicembre abbiamo formulato alcune domande a Matteo Orfini, presidente del Partito democratico, partendo sempre dalla percezione del clima di divisione che prevale in Italia alla ricerca di possibili percorsi di dialogo nel dopo voto. Un perno della discordia riguarda la legge elettorale, il cosiddetto Italicum, approvata per la Camera dei deputati, che diventerebbe decisiva in caso di vittoria del Sì con il superamento del bicameralismo paritario e il maggior peso decisionale concentrato in questa parte del Parlamento. La legge elettorale è di carattere ordinario e parte della dissidenza interna del partito democratico, vedasi la posizione di Gianni Cuperlo, è rientrata grazie all’impegno di un cambiamento promesso dell’Italicum. Abbiamo così la possibilità di registrare direttamente nel merito la posizione del presidente Orfini.
La legge elettorale in un sistema almeno tripolare come quello attuale, avendo l’obiettivo di assicurare comunque la maggioranza al primo classificato, non rischia di alterare la fotografia della rappresentanza, replicando così l’anomalia bocciata dalla Consulta nel Porcellum, e per giunta nell’unica Camera che darà la fiducia al governo? In che senso sarà variato l’Italicum dopo il 4 dicembre?
«Su questo la posizione del Pd è chiara: si può cambiate l’Italicum in modo da rafforzare il principio della rappresentanza. Penso che la soluzione migliore sia una legge a turno unico con premio di governabilità al primo partito. E ripristinando i collegi, così da aumentare ancor di più il rapporto eletti/elettori. Su uno schema di questo tipo si può costruire un accordo molto largo in Parlamento».
Secondo la politologa Nadia Urbinati, sostenitrice del No, siamo arrivati ad una divisione del Paese sul referendum in un clima peggiore della guerra fredda. La spaccatura nel Paese è così grande che una riforma è possibile solo in tal modo? Ci sono spazi per riprendere il dialogo?
«I referendum sono per loro stessa natura polarizzanti. Ma il tema della spaccatura del Paese mi sembra onestamente strumentale. Non è mai un male quando i cittadini si esprimono. Anzi, se abbiamo un problema in questo Paese è la delusione, la disillusione, il distacco dalla politica. Oggi l’Italia sta discutendo non del campionato di calcio o della nazionale, ma della sua Costituzione. Se ne parla al bar, al mercato, nei luoghi di lavoro, nelle case. È la democrazia. Ed è bello vederla così vivace».
Confindustria ha preso posizione a favore del Sì. Il Financial Times e il Wall Street Journal fanno fosche previsioni se vince il No. Sono motivazioni verosimili per convincere al voto?
«Il nostro Paese ha bisogno di cambiare. Oggi i meccanismi con cui funzionano le istituzioni sono lenti e inadeguati. Con la riforma rendiamo più semplice fare le leggi, più forte il ruolo del Parlamento e maggiore il controllo degli elettori. Questo ovviamente renderà più forte il Paese. La vittoria del No lascerebbe tutto così com’è».
Quale scenario è possibile immaginare in caso di vittoria del Si e in quello del No?
«Col Sì proseguirebbe una stagione di cambiamento che ha già consentito l’uscita dalla recessione, la ripresa dell’occupazione e l’attuazione di tante riforme attese da anni. Con la vittoria del No questo percorso si interromperebbe e tornerebbe l’instabilità e con essa l’esigenza dei governi tecnici. Chi ha nostalgia di Monti fa bene a votare No».